Il silenzio politico del Premier italiano Matteo Renzi sul what-next europeo attorno all’Isis dopo Parigi è assai meno imbarazzato e imbarazzante di quello del cancelliere tedesco Angela Merkel. Fra le prime motivazioni della cautela di Palazzo Chigi vi è sicuramente l’attesa che una svolta geopolitica sul teatro mediorientale porti a una rapida cancellazione delle sanzioni ucraine alla Russia, che colpiscono fortemente l’interscambio economico italiano. Ma è Berlino che – esattamente com’è stato quando le sanzioni sono state dichiarate – deve esercitare la sua leadership nella Ue: quella – per intenderci – del pugno di ferro contro la Grecia quattro mesi fa. Quella di Berlino è peraltro una guida politico-morale già messa in discussione dalla cooperazione militare di fatto annunciata dalla Francia di François Hollande con la Russia di Vladimir Putin contro il Califfato.



L’Italia è invece il Paese più volte punito, dal 2011 in poi, per il più o meno presunto “collaborazionismo” di Silvio Berlusconi con Putin. Non per questo – nella drole de guerre contro la Libia di Gheddafi o sulla crisi ucraina – Roma non ha fatto la sua parte come partner Ue e Nato: lungo direttrici strategiche sempre decise da altri, quasi sempre lontane dagli interessi italiani. Oggi tocca alla Germania pelare la gatta islamica sul piano diplomatico e vedersela con Washington a nome dell’Europa sulla ri-normalizzazione dei rapporti con Mosca. E se il terribile “bombardamento” subito da Volkswagen dal lato atlantico ha tolto ogni forza e ogni coraggio politico alla super-cancelliera, se la Merkel continuerà a tacere sulla Russia e con la Russia, ciascun Paese-membro della Ue potrà trarne tutte le conseguenze, su tutti i versanti.



Potrebbe recuperare margini di azione, fra l’altro, anche il presidente della Bce. Mario Draghi, nel forzare un prolungamento del Quantitative easing nell’eurozona. Lo scacchiere tattico politico-economico è comunque quello che verosimilmente più ispira la super-prudenza del premier italiano. Un extra-budget per le “spese per la sicurezza” (anche quelle militari) è già stato auto-acquisito dalla Francia all’indomani degli attentati: quale Commissione Ue può contestarla all’Italia che ospita il Giubileo? Ma soprattutto: l’emergenza-Isis in Europa può indebolire una ripresa già fragile e incerta (fra i primi a notarlo è stato ieri il presidente degli industriali italiani, Giorgio Squinzi, mentre le minute Bce lamentano una “mancanza di trazione” nel ciclo europeo e l’Fmi teme ancora la deflazione). La flessibilità nei bilanci statali – ancora giudicata in estate una scandalosa eresia da “pigs” – potrebbe tornare rapidamente una seria opzione politico-economica: forse Hollande non dovrà lottare, nel 2017, con il frontismo identitario e xenofobo Marine Le Pen? Forse la stabilità italiana o spagnola sono meno importanti di quella greca, per cui in luglio perfino l’America si è mobilitata?



Il fronte mediterraneo è un terzo momento che giustifica con molta evidenza il wait and see di Renzi. Sono anni che l’Italia paga – letteralmente – il conto di migrazioni sempre più “bibliche” per dimensioni e origini. Lo fa nel disinteresse – miope e disonesto – dei partner europei del nord: pronti addirittura (è stato il caso della stessa Francia a Ventimiglia) a chiudere le frontiere verso un Paese giudicato inaffidabile “terra di mezzo”, non un pezzo di una sola Europa particolarmente esteso nelle coste. La Germania ha scoperto solo con il collasso siriano tutte le insidie – anche e soprattutto di politica interna – portate dalle colonne di profughi ai confini. Anche la Francia ha dovuto attendere il 2015 per vedere tragicamente smentita la narrazione di comodo secondo cui i rischi di infiltrazione della Jihad in Europa erano colpa delle inefficienze spesso sospette di compromissione da parte degli europei meridionali.

“Siamo in guerra”, tuona quotidianamente Hollande, da sabato mattina. Quattro anni fa la Francia (storica alleata del regime di Assad in Siria) non ha neppure dovuto invocare i trattati internazionali per “andare in guerra”, liberando nei fatti il campo per l’Isis in Libia. La Marsigliese va bene per l’eleborazione pubblica di un lutto. Ma dal giorno dopo torna la politica, d’abord: il lavoro degli uomini di governo, fra diplomazia, economia, scadenze elettorali di quelle che sono e vogliono rimanere democrazie.

Renzi deve ancora calare una sola carta in una partita di estrema difficoltà, che certamente non potrà non vedere l’Italia al tavolo, col rischio di essere oggetto più che soggetto. Forse il Premier italiano non ha torto ad attendere.

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