I buchi dell’intelligence francese fanno discutere, dopo il blitz a Saint Denis in cui è stato ucciso Abdelhamid Abaaoud, la mente della strage di Parigi di venerdì scorso, e proiettano un’ombra sui servizi degli altri paesi europei più a rischio. La paura e i falsi allarmi fanno il resto. In Italia si teme per il giubileo e l’Fbi, dopo aver lanciato un’allerta che riguarda San Pietro e il duomo e la Scala a Milano, ha messo tra i possibili obiettivi anche la sinagoga di Roma. Mario Mori, generale dei carabinieri, fondatore del Ros, a capo del Sisde dal 2001 al 2006, sgonfia gli allarmi dell’Fbi, bolla come inutile l’overdose di cyber intelligence all’americana, ma lancia l’allarme sullo stato dei nostri servizi. Scontano dei deficit culturali e organizzativi, ma più di tutto la miopia dei politici. Il giubileo è l’obiettivo numero uno. Ci vorrà fortuna, perché “tappare tutti i buchi non è possibile”. Ma c’è una riforma che si può fare subito, spiega Mori. Basta un decreto legge.
Generale Mori, per un’organizzazione come quella dell’Isis è facile o difficile organizzare gli attentati che abbiamo visto?
I soldi non bastano, occorre un supporto ideologico e l’Isis ce l’ha. Anche la strage di oggi (ieri, ndr) in Mali, se non è un effetto diretto della sua attività, trova terreno fertile nel concerto ideologico suscitato dallo stato islamico.
Gli 007 iracheni avevano allertato la Francia su possibili attentati, mentre la Turchia aveva negato quest’eventualità; ieri abbiamo letto che Abaaoud era stato in Siria addirittura sei volte prima della strage. L’intelligence non ne esce bene.
Siamo indifesi. Se lei ha un passaporto francese, può entrare e uscire dall’Europa quando vuole. Le regole di Schengen sono chiare, dunque che Abaaoud fosse passato così tante volte non deve sorprendere. Come si vede, il sistema può produrre guai seri, vanno studiate delle soluzioni per mitigarne i rischi.
E i servizi?
Sono in difficoltà, fanno quello che possono. In queste condizioni non è facile.
Si spieghi.
Prendiamo la Francia. I servizi francesi erano in crisi, nel 2014 è stata fatta una riforma, entrata in vigore a gennaio 2015, che ha cancellato la vecchia struttura e ha messo al suo posto una nuova. Si è colta l’occasione per cacciare via la vecchia guardia gollista e fare largo ai giovani. Può star bene, ma in questo modo la Francia ha perso un sacco di esperienze, dati, conoscenze. Questa è stata una cesura che può senz’altro aver avvantaggiato i terroristi.
E le difficoltà sul campo?
In un paese come la Francia gli schedati pericolosi potrebbero essere più o meno tremila. Vogliamo fare una scrematura? Arriviamo a sette-ottocento. E come le controlla lei, quotidianamente, ottocento persone?
Quante potrebbero essere le persone sotto controllo in Italia?
Nel nostro caso potremmo arrivare a duecento attenzionati “veri”. Si va per gradi: prima si isola un grande gruppo, poi si è costretti a fare una selezione. Guardi che duecento sono tanti, troppi, se li vuole controllare come si deve.
Ma le nuove tecnologie non aiutano?
Servono, ma se si mette da parte la vecchia scuola non si va da nessuna parte. Il caso delle Torri gemelle è ormai un classico: già prima del 2001 gli americani, con l’Nsa e la cyber-intelligence, arrivavano apparentemente dappertutto; dopo l’11/9 si sono accorti che i nomi degli attentatori c’erano, sì, ma in mezzo ad altri milioni di nomi. Io devo sempre correlare una faccia alla vicenda che mi interessa, altrimenti il giocattolo diventa inutile.
L’immigrazione è pericolosa?
Non c’entra nulla. Se io sono un capo del terrorismo islamico e ho deciso di mandarla dallo Yemen in Francia, e ho speso migliaia di dollari per addestrarla, insegnandole a usare armi, computer, un’altra lingua, cosa faccio? Corro il rischio di metterla su un barcone che non si sa se arriva e per di più, una volta arrivato, lei viene schedato dalla polizia? Piuttosto le compro un passaporto in Yemen e lei diventa regolare.
La Francia è Parigi, l’Italia è una galassia di tanti centri. Questo rende più facile o difficile garantire la sicurezza?
Il nostro problema non solo i piccoli centri, dove il controllo è capillare, ma le grandi città come Roma e Milano. E comunque le nostre forze di polizia sono le migliori d’Europa, perché sono 25-30 anni che fanno la guerra alla criminalità.
E per quanto riguarda i nostri servizi segreti?
Non sono efficienti come si deve. Scontano il fatto che siamo storicamente parte di un’alleanza e che ci siamo sempre affidati agli indirizzi di quest’alleanza. Un servizio per essere efficiente deve avere una sua peculiare idea operativa, come nel caso di Israele, in cui ne va della sopravvivenza dello stato. In secondo luogo, i politici italiani non ne capiscono nulla. Questo comporta che non siamo attenti al problema. Lo diventiamo quando succede qualcosa, e allora puntualmente ci chiediamo “dov’erano i servizi”.
Dov’erano?
Io li ho diretti per cinque anni. Quando ero al vertice, il mio omologo dell’inglese MI5 era una persona che aveva cominciato la sua carriera nei servizi a 27 anni. Noi abbiamo sempre messo a capo dei servizi ottimi prefetti e ottimi generali, ma non adatti a dirigere i servizi. Soprattutto, avremmo bisogno di uomini che non cambino con il colore della casacca di chi sta al governo.
Sa meglio di me che è così perché si teme un contropotere, eccetera eccetera.
Vuol dire che continuiamo a considerare i servizi come servizi deviati. Ma allora faremmo meglio a chiuderli, risparmiando qualche centinaio di milioni di euro. Se li vogliamo, dobbiamo considerarli come un’istituzione al pari delle altre, in cui chi sbaglia paga.
Cosa ne pensa dell’allerta Usa sui nostri obiettivi sensibili, san Pietro a Roma, il duomo e la Scala a Milano?
Sia le segnalazioni di Valls che quelle dell’Fbi sono procurato allarme. Se domani Renzi dice che siamo sotto attacco chimico, lei che fa? Non può fare nulla! Tocca a me allertare i tecnici, le forze di polizia, venire a capo di chi produce questo materiale, vedere dove si è prodotto, qual è la filiera, chi lo usa. Perché terrorizzare il cittadino?
Allora a chi giova diffondere questi falsi allarmi?
A qualche parte politica, non ad altri. L’allarme dell’Fbi poi è una sciocchezza, perché dire che in Italia sono a rischio il Vaticano e la Scala di Milano è un insulto all’intelligenza della gente. Oltretutto l’Fbi ha detto che la fonte non era sua, ma della Dea, che notoriamente si occupa di droga. Lasciamo perdere.
Il giubileo?
Per il mondo islamico integralista è sicuramente l’obiettivo più redditizio dal punto di vista ideologico. Noi siamo sufficientemente attrezzati, ma ci vuole anche una dose di fortuna perché tappare tutti i buchi non è possibile.
Ci servono delle leggi speciali antiterrorismo?
No. Ma c’è una cosa che manca e andrebbe fatta subito: insediare nelle direzioni distrettuali antimafia che sono presso le grandi procure una sezione che si occupi di terrorismo, con magistrati ad hoc. Basterebbe un decreto legge.
Le moschee sono pericolose?
Le grandi moschee no, ma le piccole, i sottoscala in cui si riuniscono dieci-quindici persone, sì. E’ proprio in questi posti che transitano imam strani o sedicenti tali e controllarli è molto difficile.
Secondo Jean l’Italia è più sicura di altri paesi perché intere zone del paese sono sotto il controllo della criminalità organizzata.
Conosco bene Jean e lo stimo, ma questa è solo una provocazione. Non siamo mai stati governati dalla criminalità organizzata, e meno che mai in questo periodo.
(Federico Ferraù)