“Il vero rischio attentati per l’Europa viene dai ghetti nelle periferie, che sono l’humus ideale per lo sviluppo del radicalismo islamico. I ghetti creano un clima deleterio nella società che si spacca e si divide. Bisogna evitare di avere fenomeni in cui una comunità non si riconosca nella collettività nazionale o cittadina”. Ad affermarlo è Mario Giro, sottosegretario agli Affari esteri, nonché per anni studioso di mediazione nei conflitti internazionali. I servizi di sicurezza dei principali Paesi europei non sono ancora riusciti a trovare Salah Abdeslam, il ricercato più importante per gli attentati di Parigi. Lunedì pomeriggio intanto è stata rinvenuta una cintura esplosiva nella spazzatura di Montrouge, banlieu meridionale della capitale francese.



Sottosegretario Giro, partiamo dalla vera natura dell’Isis. E’ un “fantoccio” creato da Turchia e Arabia Saudita o il frutto del malcontento delle popolazioni sunnite in Iraq e Siria?

Entrambe le teorie hanno una parte di verità, ma l’Isis è innanzitutto un prodotto della radicalizzazione dell’Islam jihadista. Questo fenomeno è andato avanti per vari decenni e ha trovato nella dislocazione dell’Iraq e nella guerra di Siria la possibilità di coagularsi. Sicuramente i sentimenti di frustrazione da parte delle popolazioni sunnite rappresentano un problema. Questi non sono che elementi che hanno creato la possibilità perché si sviluppasse qualcosa il cui humus esisteva già.



L’Isis è un unicum nel panorama jihadista?

Purtoppo no. Non a caso oltre all’Isis ci sono molti altri gruppi, innanzitutto Al Qaeda che è tornata in vita grazie alla guerra siriana. Aver tenuta accesa la fornace siriana per quattro anni ha dato la possibilità all’Isis di vincere, ad Al Qaeda di riaffermarsi e ha creato altri movimenti estremisti come Ahrar Al-Shams che sono apparsi sulla scena del radicalismo jihadista. Siamo in presenza di una pluralità di fenomeni sempre più pericolosi.

Di fronte a questi fenomeni che cosa ne pensa dell’iniziativa congiunta di Francia e Regno Unito?



Sarebbe un errore andare in ordine sparso. Quindi ben vengano consultazioni bilaterali e trilaterali. La verità è che dobbiamo assolutamente creare il consenso per una strategia comune. Oggi i soggetti politici e statuali coinvolti nella guerra in Siria e Iraq sono molti di più, a partire da Turchia e Iran, oltre naturalmente all’Occidente.

E’ possibile mettere in difficoltà lo Stato Islamico senza creare una rottura con le monarchie del Golfo che lo sostengono?

E’ possibile perché le stesse monarchie del Golfo, non lo sostengono. Se qualcuno lo ha fatto in passato ora si è ricreduto. Inoltre le stesse monarchie del Golfo non hanno avuto una posizione unitaria sulla guerra siriana, così come anche gli europei e gli occidentali in generale. L’Isis è un fenomeno indipendente da ogni volontà e quindi oggi tutti si rendono conto della sua pericolosità.

Quali sono gli approvvigionamenti e le capacità finanziarie di cui dispone l’Isis? 

Questi approvvigionamenti vengono da privati, dalla vendita del petrolio, dai riscatti delle persone rapite, dalla vendita del patrimonio trafugato. Si calcola che l’Isis abbia un bilancio di 2-3 miliardi di dollari. Se si pensa che negli anni ‘80 l’Olp di Arafat aveva un bilancio di 15 miliardi di dollari circa, si comprende che lo Stato Islamico non è così potente come cerca di farci credere.

Come funziona il reclutamento dei foreign fighters?

Se si guarda la biografia degli attentatori di Parigi, emergono dei rapporti personali che riportano alcuni di loro ai pionieri del jihadismo terroristico negli anni ’90. L’Isis utilizza le stesse filiere, come altri le hanno utilizzate in passato.

Come si possono interrompere queste filiere?

Bisogna evitare di creare ghettizzazioni. I ghetti creano un clima deleterio nella società che si spacca e si divide. Questo crea difficoltà all’ intelligence. Bisogna inoltre evitare di avere fenomeni in cui una comunità non si riconosca nella collettività nazionale o cittadina. Nel medio-lungo periodo è necessaria una politica educativa e sociale di coesione.

Quali conseguenze ha per l’Italia l’instabilità della Libia?

Conseguenze primarie, perché la Libia è la nostra priorità. Per fortuna in Libia si è tenuto basso il livello dello scontro perché ha funzionato l’embargo delle armi. Si vede la differenza tra la guerra di Libia e quella di Siria perché in questo secondo caso l’embargo non ha funzionato e la conseguenza è che l’intero Paese è letteralmente distrutto. Basta vedere le immagini di Sinjar appena riconquistata dai peshmerga, dove non c’è un solo muro rimasto in piedi, mentre in Libia non si è ancora arrivati a questo livello e non ci si arriverà.

Come valuta in concreto il rischio Giubileo?

Il Giubileo sarà oggetto di grande attenzione da parte dei servizi di sicurezza, anzi lo è già. Ci sarà sicuramente una forma di auto-regolamentazione.

Che cosa preoccupa di più il governo nel contrasto al terrorismo?

Soprattutto le periferie, perché come ha detto anche il presidente del Consiglio Renzi molti di questi ragazzi sono cittadini europei. Quindi tutti i governi, non solo il nostro, stanno ponendo attenzione alle periferie al cui interno si creano delle zone grigie nelle varie comunità. Per fortuna in Italia questo avviene di meno. Esiste un modello italiano di integrazione che si è affermato con il tempo, e questo è molto importante. Quello che dobbiamo compiere per rendere il lavoro di intelligence più efficace è preservare un clima positivo e non deleterio nelle nostre città.

(Pietro Vernizzi)

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