Avviso ai naviganti della politica nostrana: Berlusconi è tornato. Alla verde età di 79 anni suonati ha deciso di rigettarsi nella mischia, anche perché un erede proprio non c’è. Pur nella totale volubilità che ha contraddistinto il suo modo di fare politica negli ultimi anni, la decisione sembra presa: di nuovo in campo. E’ lui stesso a spiegare che ha deciso di buttarsi nuovamente nella mischia perché tardano ad arrivare buone notizie da Strasburgo, da quella Corte europea che — sola — potrebbe restituirgli l’onore politico, visto che la Corte costituzionale italiana gli ha chiuso la porta in faccia, giudicando ammissibile la retroattività della legge Severino. 



Berlusconi, quindi, costretto a tornare al centro della scena perché sempre più solo e marginale. Una rentrée tutt’altro che trionfale, però, dal momento che tutto sembra congiurare contro di lui. C’è l’età, ma non solo. C’è un partito spappolato e liquefatto, orfano da troppo tempo del suo leader e senza eredi. C’è — tuttora — la sua incandidabilità. E c’è un’area moderata del tutto priva di guida. Persino Salvini, il più serio pretendente al ruolo di federatore dei moderati italiani, è stato comunque costretto ad andare di nuovo a trattare ad Arcore, perché senza quel 10 o 12% di consensi che Berlusconi tuttora controlla, nessuna corsa che parta dal centrodestra dello schieramento politico può avere la benché minima probabilità di successo. Berlusconi, di conseguenza, tutt’altro che inutile. 



A spingere Berlusconi al ritorno anche le evidenti difficoltà che l’azione di governo di Matteo Renzi sta incontrando, tanto in politica interna, quanto sul piano internazionale. E questo è un elemento che pesa moltissimo, più di quanto gli osservatori che si limitano alle sole cose politiche possano immaginare.

Berlusconi non ha dubbi: di fronte alla sfida del terrorismo Renzi sta sbagliando tutto, pur partendo da alcuni punti fermi di chiara impronta berlusconiana. Giusto, secondo l’ex Cavaliere, ricordare il disastro combinato dai francesi in Libia per giustificare la cautela a invischiarsi nella guerra contro lo stato islamico. Dopo gli attentanti di Parigi, però, questa argomentazione non basta più. E Renzi, secondo Berlusconi, dovrebbe schierarsi al fianco del suo amico Putin, il più risoluto baluardo contro Al Baghdadi e i suoi accoliti. Servirebbe una larga coalizione internazionale, ha spiegato, a guida americana, ma senza i tentennamenti dell’amministrazione Obama.



Freme Berlusconi, perché vorrebbe l’Italia schierata decisamente con Russia e Francia. Vorrebbe avere l’autorità per trattare, così da rappacificare Putin ed Erdogan, due leaders che considera suoi amici personali. Si deve invece limitare a dire che Renzi sta sbagliando tutto, attaccandolo però soprattutto in politica interna. Per lui i 500 euro ai neo 18enni da spendere in cultura sono una mancia disgustosa dal sapore elettorale. Il premier è forse oggi più lontano che mai da Berlusconi, e quello che poteva essere un grande amore, quasi un’attrazione fatale, ha lasciato il posto alla delusione più cocente da parte berlusconiana.

Il sogno di Renato Brunetta, un filotto di successi in amministrative, referendum costituzionale e elezioni politiche, è probabilmente destinato a rimanere nel novero delle visioni politiche. Eppure oggi Berlusconi sembra intenzionato a dare battaglia sul serio, e non per finta. A confortarlo ci sono i sondaggi, che continuano a dare il centrodestra — se unito, ovviamente — in lieve vantaggio rispetto ai 5 Stelle, e quindi capace di andare al ballottaggio con Renzi.

Il difficile sta però nel tradurre i voti potenziali in consensi reali, nella cabina elettorale. E su questo il centrodestra è all’anno zero, o quasi. Manca un programma comune, manca un leader, manca una coalizione, che se articolata su Berlusconi, Meloni e Salvini, rischia di puzzare dannatamente di vecchio. Nel frattempo Renzi si sta spostando sempre più al centro. Attrae verso di sé gli Alfano e i Tosi, ma sopratutto i loro elettorati, senza il timore che si sviluppi una formazione consistente alla sua sinistra, intorno a Fassina e ai fuoriusciti dal Pd. Ed è la prima volta che il maggior partito dell’area progressista italiana mostra di non temere una concorrenza alla propria sinistra, con effetto di spingere Berlusconi, Salvini e Meloni sempre più a destra.

Quella del leader di Forza Italia appare oggi una sfida prima di tutto contro il tempo. Se non saprà farsi trovare pronto per le amministrative della prossima primavera, rischia di scivolare davvero nell’irrilevanza. Il centrodestra deve dimostrarsi in grado di riconquistare la guida di almeno una delle tre maggiori città italiane, Roma, Milano e Napoli. Oggi però mancano sia gli uomini che le idee. E il rischio di scivolare al terzo posto nelle preferenze degli elettori, cedendo il passo ai 5 Stelle, è concreto. Per Berlusconi e per tutto il centrodestra le amministrative di primavera costituiscono davvero la campana dell’ultimo giro.