E’ difficile trovare le parole per commentare la sentenza che ha riconosciuto innocente l’ex ministro della “famigerata” prima repubblica, il democristiano Calogero Mannino. Mannino è un uomo di 76 anni che ha visto svanire gli ultimi 25 anni della sua vita. Ieri è stato assolto “per non aver commesso il fatto”. Parliamo del 4 novembre del 2015. Ma dal 1992 (l’anno del cosiddetto grande riscatto “morale” italiano), Mannino, più volte ministro Dc, uomo della sinistra di Base, era nel mirino della magistratura e poi, nel 1994, accusato di aver avviato la trattativa tra alcuni “pezzi dello Stato” e i vertici di Cosa nostra, della mafia.



Mannino era imputato, per l’esattezza, del reato di “violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario” e per questa ragione era stata richiesta per lui una pena di nove anni dalla Procura, dopo 23 mesi di processo. Il gup Marina Petruzzella lo ha scagionato per un articolo del codice di procedura penale che scatta quando la prova “manca o è insufficiente o è contraddittoria”. Il processo che riguarda la trattativa Stato-mafia va avanti con altri imputati, ma intanto Mannino viene scagionato.



Tuttavia la storia sia della trattativa (che è arrivata sino a lambire il Quirinale, con Giorgio Napolitano presidente della Repubblica), sia quella personale di Mannino lasciano sconcertati.

Calogero Mannino era stato già arrestato il 13 febbraio del 1994 con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Alcuni “pentiti” lo avevano accusato di aver fatto carriera grazie alle sue conoscenze all’interno della mafia di Agrigento. Si prese una condanna a 5 anni e 4 mesi. E così si fece mesi di galera e mesi di arresti domiciliari.

La sentenza che lo aveva condannato venne cancellata nel 2005 in Cassazione e Mannino venne assolto definitivamente nel 2010. Ma intanto un pezzo di vita se ne era andato trascinandosi dietro l’onta di essere vicino alla mafia. Un autentico scempio, altro che errori giudiziari.



Ieri, l’ex ministro democristiano ha rilasciato una dichiarazione a una radio, poi non ha più risposto al suo cellulare. Nella dichiarazione, Mannino ricordava: “Sono stato assolto in tribunale, tre volte in appello e due volte in Cassazione. Ma questo non basta ad alcuni pubblici ministeri”. Ha anche aggiunto: “Sono perseguitato dai pm e per questa ragione mi rivolgerò al Consiglio superiore della magistratura. Lo Spirito Santo ha illuminato un giudice che ha trovato non solo la forza per comprendere, discernere i documenti, le requisitorie, le arringhe e le mie personali dichiarazioni, ma ha trovato il coraggio di resistere alle pressioni ambientali, perché questo processo nasce da una voglia di alcuni pubblici ministeri, non della Procura di Palermo, che ostinatamente hanno elaborato la dottrina della trattativa senza elaborare gli avvenimenti”. 

Mannino aggiunge infine un’altra considerazione: “Hanno voluto cedere ad una mania di carattere teatrale, ci sono aspetti di questo processo che meriterebbero una riflessione pacata e attenta a partire dal Csm, ci sono atteggiamenti ostinati di alcuni pubblici ministeri. Uno di questi mi insegue da 20 anni”.

Dato che tutti, in questo periodo di storia patria, parlano del “contesto”, parliamo anche noi, per un attimo, del “contesto” di questo periodo che ha condannato Calogero Mannino, non solo alla galera, agli arresti domiciliari, alle accuse, ad abbandonare la sua carriera e magari un lavoro che gli piaceva, ma anche alla gogna mediatica, alle più astruse invenzioni sul suo conto e sui suoi comportamenti. Ieri il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, si è limitato a pochi commenti su questa persecuzione che ha accorciato la “vita normale” di Calogero Mannino. Ma arriverà mai il momento di ripercorrere esattamente quante vite sono state accorciate dopo il “mitico” 1992? Non sarebbe il momento di fare un bilancio degli errori?

L’impressione è che ci sia un “contesto” giudiziario dove i contrasti tra magistrati passano anche sopra la testa dei processi. E’ arrivata forse a un punto, la forza e il peso della magistratura e la carenza della politica e dello Stato, che puoi venire “dannato per una parte della vita” o assolto a seconda di questo “contesto”, magari per contrasti interni a una Procura o per scopi di carriera.

Speriamo che sia solo un dubbio, perché lo sconcerto non basterebbe più come commento a percorsi giudiziari che fanno venire i brividi sulla pelle.

E’ vero che è stato, purtroppo, perso il cadavere di Cesare Beccaria, ma il suo pensiero resiste, anche alla faccia di chi fa proposte di cancellare la “prescrizione”, riportandoci quasi al Medioevo.