In termini assoluti, Renzi ha ragione: sono soprattutto le Regioni il “male oscuro” della spesa pubblica italiana, sia per manifesta incompetenza gestionale, sia perché l’occasione fa l’uomo ladro e le Regioni, avendo l’occasione di gestire la spesa pubblica sanitaria e agricola, in molti casi hanno dato vita a scandali inqualificabili.
Ormai nel mondo giuridico e tra gli esperti di amministrazione pubblica serpeggia la convenzione che nelle democrazie latine, e come tali – chissà se è vero – più esposte al populismo di quelle di tradizione anglosassone, avvicinare il potere di spesa al diritto di voto, criterio ispiratore di ogni decentramento e di ogni federalismo, sia in realtà un boomerang. Perché il controllo democratico sulla spesa si eserciterebbe per clientele e non per rigorosa esattività civica…
Ma questa è antropologia d’accatto. Resta il fatto, invece, che Renzi non vuole governatori troppo autonomi, mentre i governatori bravi vogliono essere autonomi perché ritengono, giustamente, di meritarselo; e quelli che bravi non sono a maggior ragione vogliono restare autonomi, per continuare a malversare.
Lo scontro quindi è strutturale e, forse, insanabile. Ma un animale politico finissimo qual è Renzi non lo sottovaluterà e forse alla fin fine non inciderà nelle tante storture del sistema con la determinazione che ha dimostrato verso altre lobby in qualche caso (anche qui, senza generalizzare) altrettanto nefaste ma prive di comparabili radici elettorali: dalle Camere di commercio all’Aci, Renzi ha infatti colpito duro ma sapeva che non ci avrebbe rimesso in termini di suffragio elettorale. Ma se davvero colpisse duro le Regioni, se tagliasse l’erba della spesa pubblica sotto i piedi dei “mandarini” che nelle sedi periferiche di tutti i partiti, a cominciare dal suo, la gestiscono, quanti voti perderebbe alle prossime politiche?
Se il governo “normalizzasse” i forestali della Calabria, notoriamente più numerosi di quelli del Canada, o i dipendenti regionali tutti della Regione Sicilia, quintuplo di quelli della Regione Lombardia, che ha quasi il doppio della popolazione e cinque volte il Pil, per chi voterebbe l’elettorato calabrese e siciliano al prossimo turno? Per Renzi, resosi colpevole di aver fatto perdere lo stipendio a parenti e amici, o per i suoi oppositori, che starebbero tutti lì a gridare allo scandalo?
E qualora Renzi vedesse la percentuale del suo consenso calare di molti punti, in certi territori, ripeterebbe la sfida gradassa che ha lanciato al presidente della Conferenza Stato-Regioni Sergio Chiamparino, “adesso ci divertiamo”, o smetterebbe di divertirsi perfino lui, che per ora appare assai facile al riso?
Quindi, dietro l’incolpevole Chiamparino, si staglia insomma minaccioso contro Renzi l’esercito dei votanti di scambio che – se privati dei loro interlocutori capizona – sono pronti a trasferire il loro segno di croce sulla scheda di chi offre di più. Un esercito che poi – attenzione! – è proprio lo stesso dal quale anche Renzi ha tratto le mosse per la sua scalata alla politica nazionale.