Oggi il centrodestra italiano, invenzione politica di Silvio Berlusconi, rinasce a Bologna, con colori militari. Grigioverde. Il grigio degli ottant’anni del leader di Forza Italia e il verde dei leghisti. Ossatura indispensabile per dare garanzie ad un elettorato ondivago fatto di credo popolare e pulsioni populiste. Ossatura necessaria ma non sufficiente. 



Certo, seppure attempato Berlusconi appare motivato. Certo Salvini appare straripante e annuncia già centomila persone in arrivo in una piazza che non può contenerne più di cinquemila. Certo Giorgia Meloni si sta prodigando per ridare identità alla destra nazionale. Ma il vero discrimine restano le idee. Europa, euro, fisco, giustizialismo o garantismo, famiglia e patria. Quale accento deve prevalere? Chi metterà l’idea guida della giornata in maggiore evidenza? Il Pd non di sinistra appare in affanno ma tronfio del suo potere, i grillini macinano consensi. Cosa unirà il centrodestra che per vincere ha bisogno di tutti fino forse a CasaPound?



La verità è che forse nella guerra interna per evitare la presenza di Berlusconi alla manifestazione ci sono le risposte a queste domande. Il compito più difficile questa volta per l’uomo di Arcore non sarà convincere i riottosi alleati ma la sua gente. I suoi scudieri. Gianni Letta è a dir poco basito. Perplesso lo stesso Paolo Romani. Fatalista Brunetta. Berlusconi insomma potrebbe scoprire che lo sforzo lodevole di unire il centrodestra gli può costare la coesione del suo partito. E per di più Salvini parlerà per ultimo. Già da capo. Sul palco Re Silvio sarà solo. Avrà pochi minuti a disposizione per far capire al paese e al palazzo che ha ancora carte da giocare. È una piazza grande. È piazza Grande. Una grande occasione. L’ultima.

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