“Il caso banche documenta la vera natura del renzismo: una piccola consorteria della provincia italiana che, grazie a un intreccio di collegamenti politici, lobbistici e massonici, va alla conquista della Capitale”. A rimarcarlo è Rino Formica, ex ministro del Lavoro e per due volte ministro delle Finanze. Venerdì il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, ha superato la mozione di sfiducia. In 129 hanno votato per le sue dimissioni, 373 i contrari. La Boschi ha commentato: “Se mio padre fosse stato davvero favorito sarei la prima a dimettermi. Ma sono state dette un sacco di falsità: è in corso un attacco politico contro il governo e la mia famiglia”.
Formica, qual è la reale posta in gioco del caso Boschi?
Non c’è dubbio che affarismo e compiacenze nella provincia italiana e toscana sono sufficientemente diffusi. Tutto si svolge attraverso amicizie, rapporti, collegamenti. Una parte del caso banche è spiegabile con l’intreccio tra funzioni pubbliche e interessi privati. La questione assume carattere importante, con una risonanza molto più diffusa, quando la provincia italiana con i suoi vizietti locali, le sue piccole miserie e la tendenza a farla franca aggirando la legge, va alla conquista del potere centrale. A quel punto esplode il caso.
Quindi lei vuole dire che il problema è lo stesso sia a livello locale sia a livello globale?
Naturalmente bisogna stare attenti a distinguere quanto è locale da quanto è globale. La degenerazione tipica di un avvenimento che ha la sua dimensione locale va distinta dagli effetti sistemici. Ciò che emerge al fondo è che il metodo del piccolo clan degli interessi locali sta diventando un modello a livello nazionale. Il renzismo è strapaese alla conquista di stracittà. Oggi sta quindi diventando un elemento negativo, nel senso che è la peste locale che diventa peste nazionale.
Oltre a essere espressione di un clan locale, Renzi ha dietro di sé anche dei poteri internazionali?
Quando un clan periferico diventa protagonista della vita nazionale, la curiosità in campo internazionale si fa intensa. Specialmente quando si tratta di nazioni chiave in aree geopolitiche importanti, come del resto è l’Italia nel Mediterraneo. Gli interessi internazionali possono guidare le debolezze nazionali quando ad assumere il potere in una nazione è un clan debole, come è strutturalmente quello di Renzi. Non c’è da meravigliarsi se i poteri internazionali finiscono per dare copertura a una struttura fragile, che può essere inglobata, guidata e predisposta a trasformarsi in un burattino.
Quali sono i veri agganci europei di cui gode il nostro premier?
A livello europeo Renzi non ha nessun aggancio, se non l’adesione al Partito Socialista Europeo (Pse) che è avvenuta senza alcuna discussione all’interno del Pd. E’ un aggancio che si colloca in un momento di massima debolezza del socialismo europeo, che è pieno di problemi e difficoltà. Dal Regno Unito alla Francia, a sinistra ci sono solo debolezza e lacerazione. La socialdemocrazia tedesca a sua volta viene da un lungo periodo di subalternità nei confronti della CDU-CSU.
Lei si aspetta che questa subalternità possa essere rovesciata?
No. Dopo le prossime elezioni, i partiti socialisti europei si attrezzano ad avere una lunga stagione all’opposizione. Il socialismo mediterraneo del resto è completamente in crisi, in quanto insidiato fortemente dai movimenti di ribellione che nascono a sinistra e nel centro dei sistemi politici nazionali. Quello nel quale si trova Renzi è quindi un movimento di mutilati. Ed è del resto l’unico vero collegamento formale e ufficiale con una forza internazionale.
Nei giorni scorsi Renzi ha attaccato la Merkel. Qual è il suo disegno?
Il fatto che Renzi, dopo avere servito la Merkel, ora faccia una “sparata” contro di lei è proprio la reazione di un debole che sa di poter essere piegato alla strumentalizzazione esterna e cerca quindi di ribellarsi alzando il tono di voce. Ma se non è forza, la voce resta voce.
Con questo attacco, Renzi vuole evitare che le forze anti-euro come la Lega si rafforzino come la Le Pen in Francia?
Se così fosse vorrebbe dire che Renzi ha una strategia di medio-lungo periodo. Nella realtà il presidente del Consiglio vive alla giornata, anzi all’ora. Il suo motto è “ogni giorno la sua pena”, e il suo modo di superarla sono dei puri e semplici vocalizzi quando non un vero e proprio imbroglio del linguaggio. Quando i giornali si esercitano a cogliere le contraddizioni di Renzi, non comprendono che in lui non esiste nessuna contraddizione. Ci sono soltanto gli sforzi di un ambulante che ogni giorno deve vantare quella poca merce che ha, con parole diverse a seconda della piazza che attraversa.
(Pietro Vernizzi)