La recente elezione dei tre giudici costituzionali da parte del Parlamento in seduta comune ha consentito di completare il plenum dell’organo di giustizia costituzionale, così evitando il rischio di una grave questione di funzionalità democratica. Infatti, secondo la legge n. 87 del 1953, undici giudici è il numero minimo richiesto per il funzionamento della Consulta. Se si fossi scesi, per qualunque ragione, al di sotto di questa soglia, si sarebbero aperti scenari inediti, cui si sarebbe dovuto porre rimedio con modalità altrettanto inedite.
La minaccia dello scioglimento anticipato delle Camere, talora evocata a tal proposito, sarebbe stata probabilmente un’arma inconferente e comunque tardiva. Probabilmente, si sarebbe ricorso ad un decreto-legge per introdurre una disciplina temporaneamente derogatoria, sì da consentire l’operato della Corte costituzionale con un numero ancor più ridotto di componenti. Al di là dell’inefficienza dell’esito, tale soluzione provvisoria sarebbe stata una palese dimostrazione dell’incapacità del Parlamento di provvedere ai propri obblighi costituzionali. Si sarebbe ulteriormente alimentato il sentimento dell’antipolitica che serpeggia diffusamente nell’opinione pubblica. Le forze anti-sistema ne avrebbe tratto vantaggio, e la stessa Costituzione sarebbe stata in pericolo.
Circa il merito delle scelte compiute, l’elezione di tre professori universitari, ed in particolare di due costituzionalisti tra i più autorevoli e soprattutto espressione delle più elevate tradizioni giuridico-costituzionali dell’accademia nazionale, arricchirà senz’altro la Corte, e consentirà a quest’ultima di affrontare con accurata perizia le non facili problematiche che giungeranno al giudizio di costituzionalità. Tra l’altro, nel sempre più frequente confronto e nell’ormai inevitabile interrelazione con le altre giurisdizioni di rilievo costituzionale, sovranazionale e internazionale, l’autorevolezza delle argomentazioni diventa strumento indispensabile per consentire la piena tutela dei nostri principi e valori costituzionali.
Infine, circa la posizioni assunte dalle forze politiche al momento delle scelte dei nuovi giudici, queste tre elezioni sembrano testimoniare, ancor di più, la crisi del bipolarismo che si era affacciato con la cosiddetta seconda Repubblica. La tripartizione, se non addirittura la balcanizzazione dell’attuale parlamento, ha reso nei fatti impossibile l’applicazione di presunte regole convenzionali reciprocamente rispettate nei due schieramenti contrapposti. Così, il Movimento 5 Stelle si è inserito efficacemente nei processi decisionali, mentre Forza Italia ha plasticamente dimostrato l’incapacità di mantenere la compattezza dei propri gruppi. L’istituzione parlamentare in questo caso è riuscita in un risultato da tanti considerato ormai insperato. La stessa saggezza è auspicabile anche nei prossimi delicati passaggi della nostra vita istituzionale.