Il voto di ieri in Spagna e quello di una settimana fa in Francia hanno qualcosa da insegnare all’Italia, nonostante le considerevoli differenze tra i due casi.

Innanzi tutto, si è votato per due livelli di governo diverso: le regioni, tutte, in Francia, il Congresso dei Deputati in Spagna. In secondo luogo, i sistemi elettorali: la Francia adotta il doppio turno, nel caso del voto regionale, con premio e una soglia di sbarramento molto bassa; in Spagna l’elezione si svolge in un turno, per circoscrizioni molto piccole, tranne quella della provincia madrilena, e con una soglia formalmente non particolarmente alta, ma nella sostanza, atteso il sistema di calcolo dei seggi, favorevole ai partiti maggiori. In terzo luogo, il sistema francese è al momento tripolare, mentre quello spagnolo appare muoversi su quattro partiti. Infine, il risultato assai diverso ottenuto nei due casi: nel caso francese si è assistito al trionfo di una sorta anomala di bipartitismo, con la sconfitta del Fronte Nazionale, che al primo turno aveva conseguito il maggior numero di voti; in quello spagnolo si sono affermati quattro partiti senza la possibilità di garantire, come nel passato, una maggioranza assoluta dei seggi a un solo partito. 



In entrambi i casi forze antieuropee concorrevano con quelle della tradizione politica dei rispettivi Paesi e questa è una complicazione in più.

Consideriamo ora il caso italiano e facciamo riferimento all’elezione della Camera dei Deputati, l’unica rimasta direttamente elettiva, che dovrebbe tenersi nel 2018. La legge elettorale, l’Italicum, prevede collegi plurinominali (piccole circoscrizioni), soglia di sbarramento al 3%, premio di maggioranza con l’assegnazione di 340 seggi su 630: al primo turno, per la lista che raggiunge la percentuale di voti più alta, sopra la soglia del 40%; oppure, se nessuna lista ottiene il 40% dei voti, per la lista che ottiene il maggior numero di voti al secondo turno di ballottaggio tra le prime due liste.



Ogni sistema elettorale è espressione della tradizione di un determinato Paese e risponde a esigenze concrete entro cui si dibatte la questione della stabilità politica, prima ancora della governabilità e anche della rappresentanza democratica, giacché in democrazia si è legittimati solo dal consenso della maggioranza e le minoranze che governano per effetto di escamotage elettorali, in genere, hanno vita breve. La stabilità politica, infatti, è sociale, prima ancora che politica e non può essere prodotta artificialmente per opera di un sistema elettorale. 

Nel caso dell’Italia, poi, l’Italicum, si distanzia dalla tradizione elettorale del Paese che è di tipo proporzionale e a favore di governi di coalizione. L’Italicum vorrebbe realizzare un bipolarismo partitico, a lungo inseguito anche con il Mattarellum e la legge Calderoli, con l’attribuzione della maggioranza dei seggi ad una lista e i residui seggi all’altra lista; con pochi seggi, infine, per le liste minori.



Ancora non sappiamo se funzionerà, né come funzionerà e se i cittadini, alla fine, saranno contenti. 

Il sistema politico italiano appare al momento tripolare, ma non può escludersi nemmeno una quarta o una quinta forza politica al di sopra del 3%. In ogni caso due delle tre forze politiche maggiori, M5s e Lega, si atteggiano a partiti antieuropei; il Pd rappresenterebbe la continuità della tradizione.

Dov’è la lezione francese e quella spagnola per l’Italia?

Nel caso francese abbiamo assistito al secondo turno all’ammucchiata delle forze repubblicane contro il Fn. Si è trattato di un accordo non istituzionalizzato e, perciò, noto, ma non trasparente. Il Fn di fatto è stato estromesso dai governi regionali, che sono andati tutti a vantaggio dell’Unione della sinistra e dell’Unione della destra.

Nel caso italiano il Pd, se non vince al primo turno, passa sicuramente al ballottaggio. Si può escludere che, in modo poco trasparente, le forze del M5s e della Lega si cumulino a vantaggio di una delle due, per battere il Pd? In fondo è anche questo lo spirito del doppio turno: permettere a forze diverse e persino contrapposte di votare l’una per l’altra, perché al primo turno si corre per sé e al secondo turno si corre contro il peggiore nemico, che nel caso italiano, per il M5s e la Lega, sarebbe proprio il Pd.

In Francia si sa chi governa, quanto meno nelle regioni, ma la politica è diventata ancora meno trasparente e la verifica della tenuta del sistema è rinviata alle prossime presidenziali.

E questa è la lezione francese.

Nel caso spagnolo abbiamo assistito, per la prima volta, al malfunzionamento di un meccanismo altamente selettivo con una distribuzione di voti tra quattro forze e senza la formazione di una maggioranza. Se la Spagna fosse la Germania, quasi sicuramente darebbe vita a una grande coalizione di popolari e socialisti, ma somiglierebbe di più al Parlamento europeo che non a quello tedesco; infatti, la somma di popolari e socialisti in Europa si è compiuta a discapito delle forze antieuropee, che continuano a crescere nei diversi Stati membri dell’Unione.

In Spagna, perciò, la grande coalizione sarebbe una soluzione, ma non del tutto conveniente per popolari e, soprattutto, per socialisti che potrebbero vedere il progresso ulteriore di Podemos e Ciudadanos. Insomma, anche in questo caso la governabilità è possibile, ma metterebbe in bilico ancora di più i partiti della tradizione politica, che potrebbero non reggere nel prossimo futuro.

La lezione spagnola finisce con il somigliare a quella francese, nonostante le diversità.

Nel caso italiano il Pd, salvo che non vinca al primo turno, superando la soglia del 40% dei voti, corre il rischio di perdere nel ballottaggio e di abbandonare molti elettori per strada che non riescono a trovare una ragione per votare al ballottaggio a suo favore, anche perché non vi sarebbe la possibilità di una coalizione di governo, né grande, né piccola. Con l’Italicum chi vince, inoltre, è troppo minoranza nel Paese per dare stabilità alle decisioni politiche ed è destinato a durare per poco tempo.

Si può scongiurare un simile disastro, che molti oggi sembrano ignorare credendosi al sicuro con l’Italicum, così com’è? Sarebbe possibile, apportando un piccolo correttivo al sistema prescelto del doppio turno. 

Bisognerebbe permettere, in modo trasparente e istituzionale, che al secondo turno liste politiche che al primo hanno superato la soglia del 3%, e che non sono tra le prime due, si possano aggregare con una delle due liste maggiori, in modo da concorrere al risultato finale del conseguimento del premio. Infatti, così si correrebbe al primo turno per la propria lista e al secondo per la coalizione, rafforzando una delle due migliori minoranze.

Non è la perfezione, ma ci potremmo accontentare, tendo conto che le maggioranze così prodotte sarebbero diverse da quelle della legge Calderoli e, persino, del Mattarellum. In questi casi le minoranze che concorrevano al polo di appartenenza erano munite di un potere di ricatto verso la forza maggiore della coalizione, che nell’ipotesi proposta verrebbe meno del tutto, perché ogni ricatto verrebbe punito al primo turno della prossima elezione.

Leggi anche

DIETRO LE QUINTE/ Legge elettorale, i calcoli dei partiti sul "nuovo" maggioritarioLEGGE ELETTORALE/ Ecco perché il proporzionale di Conte non fa bene all'ItaliaLEGGE ELETTORALE E REFERENDUM/ Un "distanziamento" politico carico di pericoli