“In condizioni economiche esterne estremamente favorevoli, il governo è riuscito a raggiungere obiettivi molto limitati. L’anno prossimo è previsto uno scenario globale più difficile, e quindi gli stessi risultati pur limitati raggiunti finora rischiano di non essere duraturi”. Lo evidenzia Antonio Polito, vicedirettore ed editorialista del Corriere della Sera. Nella sua ultima Enews il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha elencato i risultati raggiunti: “Dall’articolo 18 alla legge elettorale, dalla tassa sulla prima casa all’Expo, dalla flessibilità al bicameralismo paritario, ci sono alcuni argomenti di cui i politici prima di noi hanno parlato per anni senza realizzare granché. Noi ne abbiamo parlato poco. Ma adesso non se ne parla più o quasi. Vorrei mettere in fila i fatti”.



Polito, condivide la soddisfazione di Renzi per quanto riguarda i risultati della sua politica economica?

Innanzitutto la performance economica di un Paese non è fatta dalla politica economica del governo. Quest’ultima si limita a creare le condizioni per la crescita. Da questo punto di vista non si può essere soddisfatti della crescita attuale, e del resto lo stesso presidente del Consiglio lo ha dichiarato più volte. Tra 2008 e 2014 l’Italia ha perso nove punti di Pil. Crescendo dello 0,8%, per tornare ai livelli pre-crisi ci vorranno più di dieci anni. Questo rende plasticamente chiaro il perché non si possa essere soddisfatti di una crescita dello 0,8%.



Lei si aspettava un balzo fulmineo dall’oggi al domani?

Non dico questo. Il punto è che quest’anno abbiamo goduto di circostanze esterne eccezionali. Non solo non c’è stata l’austerità, ma abbiamo avuto una grande immissione di denaro nell’economia da parte della Bce: il quantitative easing assomiglia molto allo stampare moneta. L’euro è sceso di molto rispetto al dollaro, diventando molto conveniente per chi esporta come l’Italia. A ciò si è aggiunta una condizione molto favorevole per quanto riguarda il nostro debito pubblico sui mercati, grazie a tassi d’interesse bassissimi. Se con circostanze così favorevoli realizziamo un +0,8%, poi non possiamo essere soddisfatti.



L’anno prossimo le cose andranno meglio?

L’anno prossimo non avremo le condizioni eccezionalmente favorevoli di quest’anno. Non possiamo essere quindi troppo ottimisti, perché questi risultati non sono eccezionali e soprattutto rischiano di non essere duraturi.

L’altro risultato sottolineato da Renzi è quello delle riforme istituzionali. Sono state davvero un passo avanti dal punto di vista politico?

Renzi si proponeva di approvare una nuova legge elettorale e una riforma del Senato, e ha ottenuto le riforme costituzionali cui puntava.

La Buona Scuola è davvero un successo?

Sulla scuola certamente è stato portato a casa un risultato notevole, anche considerata la dura opposizione del mondo degli insegnanti. Si va nella direzione che da tempo molti riformatori proponevano per la scuola: più autonomia, più responsabilità dei capi istituto, più premio al merito. Se uno dovesse fare una critica alla riforma, è che è stata realizzata in misura estremamente prudente.

La flessibilità oggi fa parte davvero delle regole europee come rivendica Renzi?

Renzi ha attaccato la Merkel per la questione dell’austerità, ma poi ha riconosciuto che la flessibilità è stata concessa. Se in primavera ci riconoscessero lo 0,2% in più che l’Italia si è già presa, saremmo nell’ambito di una flessibilità dell’1% del Pil, pari cioè a 16 miliardi di euro. Il problema vero è dimostrare che questa flessibilità serve alla ripresa. Usare la spesa in deficit per rilanciare l’economia è giustificato anche in sede europea. Ma se il deficit serve per una spesa improduttiva, in primavera pioveranno le critiche di Bruxelles.

 

Alla luce di questo scenario, qual è il fronte più caldo per Renzi? L’Europa, il parlamento o le amministrative?

Il fronte politico più caldo sono le urne. A primavera avremo il primo vero test elettorale per il governo Renzi, se si esclude quello delle europee. Il voto nelle quattro grandi città (Milano, Torino, Roma e Napoli) è una prova talmente delicata che il premier sta già dicendo che dal punto di vista politico non conterà, e che anzi la sfida decisiva sarà quella del referendum costituzionale.

 

Perché il capo del governo fa queste affermazioni?

Perché se l’esito per Renzi fosse una sconfitta politica, con due città che passano all’opposizione, si indebolirebbe su tutti gli altri fronti, inclusi Europa e Parlamento. Finora Renzi ha camminato sulle acque grazie al suo consenso interno, e in Europa ha sempre potuto dire: “Lasciatemi fare che così tengo a bada i partiti anti-sistema”. Se l’M5s dovesse conquistare Roma, la sua posizione in Europa diventerà molto più precaria.

 

(Pietro Vernizzi)