“Ha dispensato ottimismo, in realtà Renzi è preoccupato perché gran parte della sua narrazione in questo momento non ha radici nella realtà”. E’ il commento di Stefano Folli, editorialista di Repubblica, al discorso di fine anno del presidente del Consiglio. Il premier, snocciolando i risultati dell’azione di governo, è tornato ad alzare la posta: “se perdo il referendum (sulle riforme costituzionali, ndr) ho fallito”. La strategia di Renzi è chiara, secondo Folli, ma il 2016 è l’anno-chiave e tutto può succedere.



Folli, ci diciamo da mesi che le prossime comunali hanno un significato politico, ma Renzi sembra l’ultimo a preoccuparsene.
E’ chiaro, e non mi sorprende affatto. Renzi sa che ci sono dei rischi, soprattutto a Roma e a Napoli, e quindi cerca di parlarne il meno possibile per depoliticizzarle, mentre ha puntato tutto sul referendum che è il vero appuntamento politico del prossimo anno.



Lo 0,8 per cento è una ripresa davvero esigua per chi dice di aver rimesso l’Italia in pista, non crede?
Se quell’indice è il trampolino per un miglioramento, per arrivare, come alcune fonti dicono, addirittura all’1,5 per cento, andrà bene. Se invece restiamo allo 0,8 o addirittura scendiamo, allora sarà un problema serio, perché la ripresa resterebbe senza effetti concreti nella vita degli italiani. 

Non a caso il tema che fa da pendant alla ripresa, cioè le tasse, è stato rinviato al 2017.
Sì, perché le risorse per abbattere le tasse in maniera significativa adesso non ci sono. Il fatto è che una grande parte della narrazione del premier in questo momento non ha radici nella realtà. La versione di Renzi prevede una ripresa forte, una disoccupazione che si abbatte molto più rapidamente di com’è nella realtà e le tasse che scendono. Ma le cose non stanno andando in questo modo e Renzi è il primo a rendersi conto che il consenso intorno a sé e al suo partito in questo momento non sta crescendo.



Eppure, anche prima delle europee il Pd era dato al 30 per cento nei sondaggi e poi si è visto come è andata.
Ma la situazione era diversa: prendere il 40,8 per cento alle europee da parte di un premier brillante, spavaldo, da poco sulla scena pubblica nazionale, con il fattore novità dalla sua, è altra cosa dal riuscire a farlo dopo tre anni di governo con la ripresa che non decolla e le tasse che rimangono invariate.

Renzi cosa farà?
Ormai la strategia è chiara. Il referendum costituzionale ai suoi occhi sarà il passaggio cruciale della legislatura e dovrà essere un plebiscito. In effetti è difficile pensare a una maggioranza di italiani che si precipita alle urne per mantenere il senato. Il tema gli è politicamente favorevole, farà una campagna elettorale pressante, centrerà tutto su se stesso e se avrà successo dirà che quel 60 per cento che ha votato sì al referendum è un voto alla sua persona. Il 40 per cento delle europee diventerà il 60 per cento del referendum e sfruttando quello slancio andrà alle politiche. Che non potranno più essere nel 2018, ma saranno anticipate. E’ questo il suo piano, un piano chiarissimo.

Non crede che l’Italicum, nella sua versione attuale, con il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, sia uno scoglio insidioso anche per il Pd renziano? 

L’alternativa sarebbe reintrodurre la coalizione, ma per allearsi con una componente centrista che non porta nulla e che anzi rischia di alienargli una parte, assai più consistente, di simpatie dell’elettorato renziano, di sinistra ma non solo? No. Renzi punta a vincere le politiche al primo turno, sull’onda di un grande successo al referendum. Infatti ha tutte le ragioni per essere preoccupato di un eventuale secondo turno.

Se le cose vanno in questo modo…
Se le cose vanno così è Renzi a vincere, nemmeno più il Pd, e a quel punto il partito di Renzi rottama anche il partito della nazione.

E se invece Renzi perde al referendum?
Se dovesse accadere, anche sei io credo che sia molto difficile, allora tutto il castello viene giù e la rinuncia di Renzi è nelle cose.

Veniamo alla politica estera. Lei ha scritto che Renzi sta costruendo per l’Italia un ruolo molto più attivo nel Mediterraneo, e l’agenda del premier lo conferma. L’altro nodo è l’Europa. 
Le due cose si tengono. Il Mediterraneo — e non il Medio oriente — è l’ambito nel quale Renzi vede possibile un ruolo per sé e per l’Italia. E lo sta costruendo, anche perché gli Stati Uniti lo vogliono e fanno sponda alla sua iniziativa. Questo gli dà credibilità e gli permette di giocare le sue carte sul terreno europeo, dove invece è assai più in difficoltà, perché non ha la forza politica di rompere la gabbia dell’austerità.

Come le sembra che Renzi stia gestendo il caso banche?
Ha ascoltato Mattarella ed è diventato molto più prudente, attento a sottolineare la stabilità complessiva del sistema bancario italiano e a circoscrivere la vicenda Etruria facendone un incidente di percorso e puntando sulla garanzia dei risarcimenti con l’arbitrato. All’inizio aveva fatto l’opposto, criticando la Banca d’Italia e ipotizzando una commissione di inchiesta che non a caso è morta sul nascere. Scelte destabilizzanti e per questo controproducenti.

Gli costerà in termini di consenso? 
E’ inevitabile, e qualche prezzo Renzi lo ha già pagato, io credo. Governare in questo contesto, con l’economia stagnante, non è una situazione fatta per avere consenso; ecco perché punta sul referendum, perché è un terreno dove o la va o la spacca, ma dove la scommessa vale la posta. Se gli va bene, può annettersi una maggioranza consistente di italiani e rilanciare la sua narrazione ottimistica. In perfetto stile De Gaulle, che usava i referendum per entrare in sintonia con i francesi scavalcando la politica.

(Federico Ferraù)