“Se stiamo alle previsioni dello stesso governo, nel 2018 avremo più debito, una disoccupazione altissima e una crescita inferiore alla media della zona euro. Se qualcuno è soddisfatto di questi risultati buon per lui, ma il Paese non credo che sia felice”. Paolo Cirino Pomicino, ex ministro della Funzione Pubblica, del Bilancio e della Programmazione economica, nonché editorialista con lo pseudonimo di Geronimo, commenta così l’ultima Enews del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. In 15 punti, il premier elenca i risultati ottenuti dal governo in 18 mesi. Si va dal Pil, che è passato dal -2,3% nel 2012 al +0,8% nel 2015, alle misure messe in campo per il Mezzogiorno.



Cirino Pomicino, come valuta nel complesso il quadro dell’azione del governo Renzi in questi 18 mesi?

Il presidente del consiglio è ottimista, ed è giusto che lo sia, ma se si eccede si scivola nel ridicolo. E’ fuor di dubbio che la ripresa segni oggi un dato positivo. Ma d’altra parte ci sarebbe da stupirsi se non ci fosse stata neanche una crescita del Pil dello 0,7-0,8% con il crollo del prezzo del petrolio e con tassi d’interesse a zero. Questa ripresina è figlia di eventi contingenti e straordinari esterni al Paese. Tra i provvedimenti del governo ci sono comunque alcune cose positive, come l’ammortamento degli investimenti messi in atto fino al 31 dicembre 2016.



Anche il Jobs Act rientra tra questi provvedimenti positivi?

Fino a un certo punto, perché molti dei nuovi contratti a tutele crescenti altro non sono che la trasformazione di posti di lavoro precari. E’ inutile però perdersi sulle minuzie di questa o quella misura. Alcune sono buone, altre meno. Il punto è un altro …

Quale?

Essendo governativo per vocazione registro i risultati che il governo si pone per il prossimo triennio nella Nota di aggiornamento al Def. Per il 2018 si prevede una crescita del Pil dell’1,5-1,6%, un tasso di disoccupazione pari al 10,7% e il debito pubblico in crescita di circa 60-70 miliardi di euro. Gli obiettivi che il governo si pone per il prossimo triennio sono quantomeno modesti.



Lei è contento della politica economica del nostro governo?

Se tutto va bene a fine legislatura noi avremo più debito, una disoccupazione altissima e una crescita inferiore alla media della zona euro. Se qualcuno è soddisfatto di questi risultati buon per lui, ma il Paese non credo che sia felice.

A livello complessivo che cosa non funziona nella politica economica del governo?

In primo luogo un carico di interessi oltre i 70 miliardi di euro l’anno non è più sostenibile con una crescita così bassa. Serve una misura di finanza straordinaria, che per inciso non è la patrimoniale, in grado di ridurre lo stock di debito accumulato di almeno l’8-10%. Questo consentirebbe di recuperare risorse per investimenti in modo consistente, e nel contempo di attuare una disciplina molto più semplice sul terreno sia degli appalti pubblici sia dell’apertura di grandi aziende. Ciò che occorre è una politica industriale che non si basi su incentivi a pioggia, bensì lo concentri su alcuni settori. Manca un’idea del Paese che vogliamo.

 

Lei dice che al governo manca un’idea. E la sua idea qual è?

Il governo dovrebbe mettere in moto meccanismi che consentano alla ricchezza nazionale di poter dare una mano. Serve un’industria manifatturiera a tecnologia avanzata. Ciò comporta il recupero di risorse che possano consentire investimenti infrastrutturali e agevolazioni fiscali concentrati su alcuni settori. Non c’è nulla di tutto questo, e quindi si vivacchia, con una crescita che ormai da 20 anni è intorno allo 0,7-0,8%. Mentre negli anni ’80, nonostante ci fossero l’inflazione a due cifre e il terrorismo rosso, l’Italia crebbe del 27% in dieci anni.

 

Dopo il crac delle quattro banche, com’è la salute di cui gode il sistema bancario italiano?

Il sistema bancario sta attraversando una sorta di appesantimento perché i governi italiani che si sono succeduti, contrariamente a quelli di altri Paesi, in questi anni non hanno fatto nulla. Oggi il mondo del credito si ritrova con una disciplina ferrea e in parte folle. Per esempio le norme europee impediscono ai fondi pubblici degli Stati membri di intervenire nel sistema bancario, mentre lo consente a quelli di altri Paesi come Qatar, Cina e Singapore.

 

(Pietro Vernizzi)