Anche nel Pd di Matteo Renzi incombono quelli che nel Partito socialista francese chiamano gli “Elefanti”. Oltralpe si tratta della generazione filiata negli anni 80 da Mitterrand, in Italia sono i berlingueriani. Luciano Violante — che è l'”elefante” più lucido — guida la carica contestando a Renzi di fare il premier-segretario: il Pd non è più una “comunità politica”, non è più “una forza del cambiamento”, ma è ridotto a un miserabile “comitato elettorale”. 



Ed è appunto nel nome di Berlinguer che, persino nella “sua” Firenze, Renzi vede il governatore, Enrico Rossi, annunciare la candidatura contro di lui per la leadership del Pd al prossimo congresso del partito. A Napoli intanto risorge Antonio Bassolino e il regista Vittorio Salemme lo appoggia accusando Renzi di fare film preoccupandosi solo del “cast”, ma senza “sceneggiatura”. A sua volta, a Bologna, il sindaco Virginio Merola sceglie una platea berlingueriana (radunata per la cerimonia in ricordo del sindaco comunista Renzo Imbeni) per attaccare Renzi ovvero “l’andazzo nazionale” e “i guasti prodotti dalla ‘rottamazione'”. A Roma intanto riappare Rutelli che anima una sorta di contro-Leopolda (detta la “Francesca”): non berlingueriano ma veltroniano, è pur sempre un altro “elefante” in campo contro Renzi. Tra le città che andranno al voto solo a Torino il premier-segretario non è apertamente contestato: il leader dei renziani è però un altro “elefante”, Pietro Fassino, il segretario provinciale del Pci scelto da Berlinguer negli anni 70. 



Perché questo risveglio degli Elefanti che sembravano — rottamati — in via di estinzione? Per loro “il partito della Nazione” di Renzi significa aggiungere alla fine del Pci anche la fine della sinistra in generale, ma in queste settimane credono di aver trovato le condizioni per una sortita. La situazione economica e sociale rimane difficile e in primavera ci saranno le elezioni nei capoluoghi delle principali aree metropolitane del Paese: un test di rilevanza nazionale in cui si prevede che il Pd arretrerà in quanto non sarà in grado di confermare tutti i sindaci di sinistra. Dal governo e dal Pd si mettono le mani avanti: Padoan attribuisce i dati economici deludenti ai recenti attentati di Parigi e dal Nazareno si sottolinea che il voto riguarda solo situazioni locali senza implicazioni politiche generali. Ma è lo stesso Matteo Renzi ad ammettere la rilevanza nazionale insistendo per un election-day comune per le primarie.



Infatti i contrasti che si registrano nel Pd, città per città, hanno una matrice comune e cioè dipendono dal fatto che da Torino a Napoli i sindaci eletti nel 2010 sono espressione delle vecchie coalizioni antiberlusconiane con l’estrema sinistra, mentre ora, caduto Berlusconi, Sel è all’opposizione in Parlamento contro il Pd e il suo segretario-premier. In aggiunta Sel si è unificata con i fuoriusciti dal Pd dando vita a Sinistra Italiana e attacca Renzi come reincarnazione di Berlusconi. La sconfitta del “partito della nazione” è l’obiettivo della sinistra interna ed esterna al Pd. 

Città dopo città le coalizioni della “vecchia sinistra” 2010 vanno franando ed è il nuovo equilibrio nazionale di governo a verificare la sua rappresentatività nel voto di primavera. Torino è sicura, ma Fassino, incalzato dalla candidatura dell’ex leader degli operai della Fiat, Giorgio Airaudo, sarà probabilmente costretto a un non spensierato ballottaggio. Inoltre in quella che sembrava la roccaforte nazionale, Bologna, il sindaco Pd, Merola, sembra in preda al panico nella concitata rincorsa dei voti dell’estrema sinistra in uscita con Sel. Dopo aver appoggiato le occupazioni abusive guadagnandosi tre inchieste penali, nei giorni scorsi ha persino annullato il progetto del Passante Nord che dopo vent’anni era finalmente in dirittura di arrivo perdendo così i finanziamenti europei. Il Pd si è spaccato e contro Merola si sono schierati Regione, Confindustria e Cgil. A Napoli il governatore De Luca definisce i dirigenti renziani “qualche imbecille”, e l’alternativa è tra Bassolino e de Magistris mentre a Roma si spera di rinviare il voto a dopo il Giubileo.

In questa situazione diventa centrale Milano. E’ qui che Renzi può, con Sala, registrare un successo attribuendosene il merito. Ma le primarie con la vicesindaco Balzani possono essere devastanti: alla fine sul terreno rimarrà se non sconfitta comunque ammaccata agli occhi dell’elettorato milanese o l’esperienza Pisapia o l’Expo. Inoltre è evidente che i gruppi a sinistra del Pd, se non vince la Balzani, non voteranno Sala sindaco e quindi partecipano alle primarie solo per dare visibilità alla piattaforma che intendono presentare contro il Pd. A questo punto le primarie rischiano di logorare Sala. Finora nessun attacco gli è venuto dal centro-destra, ma solo da esponenti del Pd che addirittura mettono in dubbio la sua capacità di evitare la corruzione. Oggi dato per vincente al primo turno con oltre il 50 per cento dei consensi, Sala passerà i prossimi mesi a parare le contestazioni da sinistra come accadde nel 2006 al prefetto Ferrante che finì per essere ridimensionato dalle primarie e mandato in giro dal Pd milanese travestito da ex sessantottino. Anche Mister Expo finirà con il fazzoletto rosso al collo a cantare “Bella Ciao” per avere il gradimento di quella sinistra che affronta i problemi di Milano in termini di “guerra civile”? 

Le primarie della sinistra potrebbero così diventare una campagna di rianimazione del centro-destra che oggi sembra disarmato di fronte alla candidatura dell’ex direttore generale del Comune con Letizia Moratti sindaco.