Sono giorni non facili e non semplici per il Pd di Matteo Renzi e soprattutto per chi, assieme a lui, opera nella speranza del “partito della nazione”. Comunque li si rigirino, i numeri della crisi-non-crisi, del “rimbalzino” o della “ripresina” sono davanti agli occhi di tutti e sono troppo interpretabili, in senso positivo o in senso negativo. Luca Ricolfi, domenica in un fondo sul Sole 24Ore, ha spiegato sin troppo bene gli appuntamenti mancati e le politiche insufficienti. Poi c’è il giudizio del Censis sull’Italia. Impietoso. È quello di una società sciapa, scontenta e in fondo rassegnata; difficile galvanizzare questa Italia in una simile situazione complessiva, quando poi arrivano dalla Francia le notizie dei successi del Front National di Marine Le Pen e della nipote Marion Maréchal. I discorsi sull’Europa, la flessibilità, i conti, gli investimenti diventano ancora più complicati.



Ma questa è solo la grande cornice in cui, per ricordare l’ultimo libro di Paolo Cirino Pomicino La repubblica della giovani marmotte, cioè l’Italia del dopo prima repubblica, sta affrontando scadenze apparentemente più prosaiche, come le prossime elezioni amministrative di tarda primavera, che avranno una valenza politica di grande peso.



Va subito detto, prima di accennare a una disanima appena articolata, che il baricentro della scontro politico, soprattutto nella sinistra o nel centrosinistra, si è spostato a Milano. Ci sarà molto tempo ancora per vedere la storia di queste scadenze elettorali nelle più importanti capitali italiane, ma a Milano c’è il rischio che si faccia, con le primarie, un autentico, anche se in stile nuovo, congresso di partito della sinistra attuale. E sempre a Milano, dopo il cosiddetto successo dell’Expo, c’è il rischio che si ripeta a sinistra un trauma “Liguria bis”, con una sinistra lacerata. A Napoli, in fondo, la ricomparsa sulla scena del “picista ingraiano” Antonio Bassolino pare un fantasma del passato che non tramonta mai, all’ombra di un elefante imbufalito come Vincenzo De Luca. Non sembrano entrambi un ostacolo drammatico per il decisionista Matteo Renzi. A Roma, dopo la “scomparsa” di Ignazio Marino, liquidato in sede notarile, ci sono prefetti e “Giubilei” che possono allungare di molto i tempi elettorali, anche se ci fosse una cosiddetta indignazione popolare.



Finora l’impressione è che nessuno voglia vincere per paura di governare la capitale. In altre città importanti ci sono più che altro le “grane” che Renzi deve affrontare perché i territori sono refrattari, spesso, alle politiche “rottamatorie”. Ma a Milano è tutto differente. La rottamazione è più che mai problematica. Analisti raffinati e cronisti scatenati si chiedono quale sia stato il contenuto dell’ultimo incontro tra Matteo Renzi e il sindaco Giuliano Pisapia. Facendo tutti pensare a una sorta di patto segreto, a uno scambio di favori reciproci.

Ma a ben vedere, l’unica cosa certa è che a Milano si faranno le primarie ( a febbraio come è stato confermato dal vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini), che nelle intenzioni di Matteo Renzi, dopo la designazione di Giuseppe Sala, “mister Expo”, non si dovevano neppure tenere.

Era tutto pronto: il sindaco, la Cassa Depositi e Prestiti pronta a “garantire”, lo stanziamento e lo sviluppo della capitale lombarda. In realtà, Renzi, in queste cose, è un po’ la caricatura buona (per carità ci si scusi il paragone) del Peter O’Toole nei panni del generale Tanz, in un celebre film. Va avanti senza guardare in faccia nessuno. Insomma, è una “giovane marmotta” che picchia come un martello. Ma Pisapia non è affatto remissivo. E’ un uomo di antica sinistra, non è mai stato d’accordo politicamente con Renzi e nel giro di otto mesi ha sopportate di tutto e di più dal presidente del Consiglio e segretario del Pd.

Forse, più che concentrasi sull’ultimo appuntamento, bisognerebbe fare una breve sintesi dei rapporti tra sindaco e premier. Pisapia annuncia a fine marzo che non si ricandiderà e non riceve neppure uno straccio di commento da Palazzo Chigi, pur avendo assicurato a Milano una tenuta di sinistra e la certezza che l’Expo si possa fare, non c’è nessuno nel vertice del Pd che si straccia le vesti. Il 1° Maggio, quando si apre l’Expo, Renzi, nell’inaugurazione ufficiale, ringrazia pubblicamente l’intuizione di… Letizia Moratti e non degna di una parola significativa il sindaco. Poi, a Expo conclusa, candida il “Beppe-Expo”, cioè Giuseppe Sala, che aveva già lavorato con la Moratti. Il “vendoliano” Pisapia si trova senza nulla in mano, anche se magari si aspettava qualche cosa di significativo, e si accorge che ha lavorato per il “re di Prussia”.

E’ a questo punto, tra voci di “promesse mancate”, affermazioni di “nessuna richiesta” e ugualmente di “nessuna offerta”, che si sviluppa quello che si può chiamare l'”intrigo milanese” della sinistra italiana. Così, improvvisamente, proprio mentre va buca una delle innumerevoli elezioni per i giudici della Corte costituzionale, Pisapia butta tra le ruote della “macchina renziana” il nome pesante della sua vicesindaco, Francesca Balzani. A questo punto, l’elezione del sindaco milanese può diventare un esperimento nazionale. O meglio ancora un test nazionale per la sinistra italiana. Da un lato c’è il “decisionista” del partito della nazione, che sceglie il tecnico che avrebbe assicurato il successo dell’Expo milanese e italiana. Dall’altro c’è un sindaco che può diventare il credibile leader di una federazione di sinistra, a Milano (nella capitale morale come ha specificato Raffaele Cantone) in contrapposizione con il centro di un partito che ha un uomo “solo al comando” e che in più occupa anche Palazzo Chigi. Fatto che a Pisapia non piace.

E’ per questa ragione che se non si trova una mediazione o un punto di incontro. Il rapporto conflittuale tra maggioranza e minoranza del Pd, sviluppatosi in un anno senza traumi particolarmente drammatici, può produrre uno showdown pericoloso. E’ lecito domandarsi, se il confronto dovesse approfondirsi, aggravarsi, quali conseguenze potrebbe avere sia sul risultato complessivo milanese, sia nei rapporti nella sinistra. Abbiamo accennato a un rischio “Liguria bis”, perché non è impossibile che la comparsa di un altro candidato credibile, appoggiato al centrodestra, ma gradito al centro, potrebbe sparigliare tutto. Non è neppure da escludere che, nello scontro tra le due sinistre che si profilano all’orizzonte, c’è chi giochi addirittura per perdere e per far perdere. Quello che oggi è difficile immaginare è che Renzi arrivi a un accomodamento. Ci sono già le armi affilate contro i risultati dell’Expo e del suo guru, cioè del candidato del premier Giuseppe Sala.