Ho sempre pensato che il comunismo italiano fosse una fede, e l’essere invece democratico-cristiani in Italia fosse una religione. I fedeli si volgono alla fedeltà verso una teodicea cioè a una filosofia della salvezza in modo assoluto, perinde ac cadaver, e se non la raggiungono cadono in un terribile sconforto. Gli ultimi e gli umili di solito hanno una fede, e non a caso si parla di una fede dei semplici. I penultimi e i primi di solito hanno una religione e di solito le religioni si reggono non tanto sull’etica della convinzione, come le fedi, quanto sull’etica della responsabilità, e sono spesso religioni che certo guardano alla salvezza ma guardano in primis alla religione come religione civile, quella religione su cui Benjamin Constant ha scritto pagine insuperabili e di grandissima attualità che varrebbe la pena di rileggere. 



La recente elezione a presidente della Repubblica di Sergio Mattarella è il frutto della vittoria della religione sulla fede. Civilissima, certo, ma che ci conduce dritti al porto in cui siamo giunti oggi: fine dell’utopia, fine del sogno, tranquilla e seria riaffermazione di quella religione civile che guarda agli umili ma dagli umili non scaturisce e a essi non appartiene. Questo porto è anche il porto a cui è giunta la questione italiana. Si è disvelata essere quella che io da tempo dico che essa sia: ossia niente di più e niente di meno che la questione cattolica. Ma della questione cattolica come religione, non come fede. E Mattarella è proprio il paradossale frutto di questa endiadi, ossia mentre il cattolicesimo, come fede, viene quasi sconfitto dalla secolarizzazione, il cattolicesimo come religione trionfa sotto le spoglie dell’eredità culturale della democrazia cristiana in Italia. 



E anche qui c’è un paradosso. L’unità politica dei cattolici è finalmente finita, ma chi occupa oggi i centri nevralgici del potere visibile e invisibile in Italia (salvo quelli massonici: in ritirata) son proprio i religiosi cattolici eredi di quell’unità. Lo sono tanto in politica quanto nelle società intermedie, in misura fortemente preponderante. Solo le organizzazioni di rappresentanza sociale si dividono ancora secondo le categorie della guerra fredda, soprattutto rispetto alle organizzazioni dei prestatori d’opera e degli artigiani e dei piccoli imprenditori, in cui non a caso, gli ultimi e i penultimi si mescolano in modo peristaltico. Che fine ha fatto il comunismo italiano? Era il più grande partito comunista d’Occidente ed è scomparso. Per far scomparire quello più grande dell’Africa, il sudanese, e quello più grande dell’Asia dopo quelli cinesi e vietnamiti, ossia l’indonesiano ci vollero nel 1964 due colpi di stato che provocarono milioni di morti, aprendo la via al fondamentalismo islamico. 



Qui nulla di tutto questo. Attenzione. Non si tratta solo del crollo dell’Urss, anche se la fine di questo impero fu co-determinante. Il comunismo italiano si co-distrusse già da prima non riuscendo a far diventare gli ultimi classe dirigente. Anzi, rinunciando esplicitamente a far ciò creando la cosiddetta sinistra indipendente, cooptando in situazioni di potere transfughi dalle classi alto-borghesi, ex socialisti, ex repubblicani, grand commis, in genere donne e uomini assetati di potere.  E poi ci fu quello che Giorgio Amendola temeva: il trionfo della sifilide sessantottina e di ciò che Enrico Berlinguer temeva ma non seppe evitare per incapacità politica: la trasformazione del partito in un’appendice della cultura radical-borghese. Fenomeno, questo, che il più grande intellettuale cattolico del Novecento, Augusto Del Noce (con Giacomo Noventa) aveva già previsto con drammatica determinazione. 

Fu una tragedia senza fine che non a caso ben descrissero i più grandi intellettuali-artisti del cattolicesimo italiano: Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini, che erano cattolici senza completamente saperlo. La fede scompariva. E tutto, attorno a essa, le altre religioni civili dimostravano di non aver le forze per un percorso di lunga lena. Gli aderenti al Partito Repubblicano, forse il manipolo più intellettualmente colto in senso classico-borghese dell’Italia postrisorgimentale, non riuscì mai a essere altro che un’anticamera di Mediobanca. E altrettanto non seppe fare il vecchio Partito Socialista, destinato a declinare via via come altra fede e altra fiaccola sopra il moggio che andava spegnendosi. Solo Bettino Craxi cercò di inverare una vecchia religione civile che recuperasse l’escatologia della fede. Ma era un’endiadi non più sostenibile. Non si poteva costruire una nuova escatologia paolina con le serate nei night club e con l’esaltazione di Cicciolina. E questo nonostante tutte le ardite innovazioni istituzionali e culturali proposte. Quando poi queste ultime si accomunarono con la rivendicazione dell’identità nazionale, con i casi Sigonella e Achille Lauro, unitamente ancora al sostegno dei palestinesi contro Israele, la soglia di dipendenza perenne dell’Italia dal paradigma della sovranità limitata fu superato, e la magistratura si incaricò di fare strame di Bettino Craxi, destino che — non a caso — fu anche quello che occorse a Silvio Berlusconi, anti establishment pour exellence, ed erede dei molti seguaci craxiani e di tutti i democristiani che non confluirono nelle varie versioni che assunse il nuovo amalgama politico che sorse tra la sinistra democristiana e il vecchio Pci. 

Qui va sottolineata un questione culturale dirimente che misura il grado di inciviltà culturale e di ignoranza a cui oggi si è giunti. Mi riferisco alla categoria dei cattolico-comunisti, a cui — secondo coloro che non lo hanno votato or ora a Presidente della Repubblica — anche Sergio Mattarella apparterrebbe. Va ribadito che di cattolico-comunisti in Italia ci sono state solo due categorie di fedeli. 

Una era quella seguace di Felice Balbo, torinese, scaturita dalla resistenza e dall’antifascismo e quando si giunse alla scomunica di Pio XII contro il Pci ritornarono, quei fedeli, nelle braccia della Chiesa cattolica e si straniarono di fatto dalla vita politica. L’altra categoria di cattolico-comunisti fu quella romana di Franco Rodano che, dinanzi alla scomunica, la affrontarono e la subirono e rimasero nel Pci con effetti che certo furono nobili (si veda la testimonianza di un grande economista come Claudio Napoleoni) ma politicamente meschini, non riuscendo poi a opporsi alla vittoria del pensiero neoprotestante dei “cattolici adulti” e dei giansenisti, convinti che la fede stava tutta nelle opere… di potere, vedi la traiettoria di Romano Prodi.

L’elezione di Sergio Mattarella conclude così un ciclo metastorico che attraversa tutte le repubbliche o post repubbliche di cui si discetta, spesso senza costrutto. Oggi i democratico-cristiani religiosi e postmoderni e quindi renziani son dappertutto. Non c’è ganglio del potere che sfugga loro, salvo quelli massonici, che sono in verità in declino. Si conclude così una prima lunga fase della questione cattolica italiana del secondo dopoguerra. Essa ha distrutto tutti i fedeli e ha esaltato tutti i religiosi. Sergio Mattarella è il dignitosissimo e umanissimo rappresentante di questa fine e di questo inizio di cui non sappiamo ancora delineare il volto.