Dodici presidenti, ma provenienti da sei regioni soltanto. Con Sergio Mattarella entra al Quirinale la Sicilia: nuovo membro di un club molto ristretto di “patrie” dei capi dello Stato repubblicano.
L’altra grande isola italiana — la Sardegna — aveva inviato da tempo ben due inquilini sul Colle: Antonio Segni e Francesco Cossiga, entrambi democristiani di Sassari. Il Piemonte ha inanellato tre presidenti: un cattolico (Oscar Luigi Scalfaro, magistrato novarese) e due laici (l’economista liberale Luigi Einaudi e il socialdemocratico Giuseppe Saragat). La Ligura — propaggine dell’Italia sabauda — ha dato i natali al socialista Sandro Pertini, antifascista della prima ora. La Campania — anzi: Napoli — rimane grande fucina di presidenti: il primo (Enrico De Nicola, liberale ante-Ventennio), e l’ultimo (Giorgio Napolitano, ex dirigente del Pci, unico rieletto nell’incarico). E poi il democristiano Giovanni Leone. Due presidenti, infine, sono venuti dalla Toscana: il fiorentino Giuseppe Gronchi, primo democristiano al Quirinale; e il livornese Carlo Azeglio Ciampi, forse l’unico presidente totalmente indipendente dai partiti della democrazia parlamentare.
Dalla geografia del Quirinale — se la statistica può dire qualcosa — continua a restare fuori la capitale Roma; il motore economico lombardo-veneto; l’Emilia Romagna, storica “fabbrica di politica” del paese. E’ vero che da Milano sono partiti Bettino Craxi e Silvio Berlusconi: due premier che hanno segnato fasi importanti della storia repubblicana, così come l’emiliano Romano Prodi, il romano Giulio Andreotti, il pugliese Aldo Moro o perfino il veneto Mariano Rumor. Ma questa è un’altra storia.
Il tabellino, intanto, etichetta il neo-presidente Mattarella come “giurista”: la stella casella assegnabile a Segni (rettore dell’Università di Sassari) Leone (autorità scientifica nel diritto penale) e Cossiga, tutti peraltro molto prestati alla politica come Mattarella. “Professionisti della politica” erano Saragat, Pertini, Napolitano. Scalfaro era stato un giovane magistrato, Einaudi aveva un passato di guru internazionale del liberalismo economico, mentre Ciampi — banchiere centrale — approdò alla presidenza pochi mesi dopo avere battezzato l’euro. Gronchi, prima di essere uno dei leader-fondatori della Dc, era stato uno dei capi del sindacalismo cattolico prima del fascismo.
(Nonostante gli auspici di molti — per primo Matteo Renzi — al Quirinale continua a mancare una “quota rosa”: sarà per la prossima volta?)