Ieri la manifestazione nazionale di Roma in appoggio alla Grecia di Tsipras e contro l’Europa fortezza, sotto il segno “Dalla parte giusta” e “Basta morti nel Mediterraneo”, ha visto la presenza di sindacati Cgil (c’era la Camusso) e Fiom (Landini), associazioni, Arci, Attac, Tilt, Forum dei movimenti per l’acqua pubblica… E micro-partiti di sinistra radicale: Sel, Rifondazione comunista, Sinistra critica, Civati e Fassina, della sinistra Pd. Di popolo ce n’era poco. “Alcune migliaia”, dicono le agenzie: insomma, non quattro gatti, ma neppure una manifestazione di massa, nonostante le numerose sigle e la presenza di attori, scrittori e intellettuali vari.
La manifestazione è avvenuta in risonanza ritardata con quella di Piazza Sintagma, ad Atene, il 5 febbraio, all’insegna dello slogan “No al ricatto della Bce”. Tsipras ha finora bussato a tutte le porte europee per ottenere quello che ha promesso ai suoi elettori: dimezzare il debito, trasferendolo sull’Europa per cinquant’anni, senza interessi; ottenere nuovi prestiti senza rimborsare quelli già scaduti (l’Italia è esposta complessivamente per 46 miliardi di euro); mandare a casa la Troika; ridefinire una nuova politica economica europea e un assetto istituzionale della democrazia europea, in cui gli Stati cedano ulteriori pezzi di sovranità: più Europa e meno Stato nazionale.
Nessuno dei Paesi coinvolti, dalla Francia alla Germania all’Italia… alla Bce hanno potuto dare soddisfazione all’irruento Tsipras, almeno sui primi tre punti. In effetti, il debito greco — così come quello italiano — non è stato creato dagli europei e Tsipras non può pretendere che lo paghino loro! Sul quarto il più d’accordo di tutti è Draghi. Dall’Eurotower vede ogni giorno che la politica monetaria ha basi fragili, se gli assetti politico-istituzionali dell’Unione europea non andranno verso una crescente federalizzazione. Domani ci sarà un secondo round europeo con Tsipras. Il primo, l’11 febbraio, è stato avaro di risultati. Bisognerà trovare un compromesso: i creditori non possono uccidere il debitore; il debitore non può tagliare la corda, alla quale, in questa aspra scalata della crisi economico-finanziaria, siamo appesi tutti quanti.
Chi ha fatto del riformista di sinistra Tsipras — che proviene da una scissione a destra del vecchio Kke, il vecchio partito comunista greco dell’interno, antieuropeista — il nuovo leader rivoluzionario della sinistra radicale europea sta passando ore di ansia. Se alla fine il nuovo San Giorgio, in lotta contro il drago dell’austerity europea, si trovasse per le mani una lancia troppo corta? Se il nuovo Cavaliere bianco si trovasse a dover umilmente cavalcare un ronzino? Parliamo qui di coloro che hanno promosso la Lista Tsipras in Italia il 17 gennaio 2014, in vista delle elezioni europee: Nichi Vendola, Paolo Ferrero, Andrea Camilleri, Paolo Flores D’Arcais, Barbara Spinelli, Marco Revelli, Guido Viale, Moni Ovadia, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelski, Carlo Freccero, Michele Serra, Furio Colombo, Fausto Bertinotti, Luciano Canfora, Gino Strada…
Il Manifesto e Il Fatto quotidiano hanno fortemente sponsorizzato la lista, che ha portato a casa tre deputati europei. In occasione delle elezioni del gennaio 2015 in Grecia, che hanno visto la squillante vittoria di Tsipras, si è formata in Italia la Brigata Kalimera — nulla a che vedere con le gloriose Brigate internazionali della Guerra di Spagna, iniziata nel 1936 — capitanata dalla sempre vivace ottuagenaria Luciana Castellina, con il suo “attaccamento inquietante, ma beato alle grandi idee sbagliate del Novecento” (Giuliano Ferrara), che ha portato circa 200 italiani, rappresentanti di movimenti e associazioni, e militanti singoli ad Atene per appoggiare/festeggiare la vittoria di Tsipras.
Sì, nell’allegra Brigata sono presenti tracce dell’antica militanza extra-parlamentare post-sessantottina, ma soprattutto ci sono intellettuali laicissimi, che alle barricate delle piazze hanno sempre preferito quelle comodissime e ben retribuite delle redazioni e delle cattedre. Per quasi tutti costoro, da sempre, ci sono due sinistre: quella revisionista, poi filo-socialista, poi subalterna a Berlusconi, poi più a destra del medesimo, che oggi è rappresentata da Renzusconi. Se ne accorga o no, il Pd di Renzi è subalterno al capitalismo finanziario, alle burocrazie europee, ai poteri forti. E tende alla deriva autoritaria. Fortunatamente, c’è un’altra sinistra: quella dei movimenti, quella della società civile, quella degli indignati, quella di Porto Alegre, quella degli arancioni — che non sono, tuttavia, gli Hare Krishna — quella dei No Tav, quella degli animalisti estremi, quella enogastronomica di Carlin Petrini… Disgraziatamente, questa sinistra è sempre orfana, da decenni. Cade il comunismo? Non per questo si potranno mai addivenire socialdemocratici, sui quali continua a pesare la condanna dei primi anni Trenta del 900 e quella degli anni 70 di Enrico Berlinguer, estesa per l’occasione a Craxi e a tutti i suoi amici, quali gli stessi miglioristi del Pci.
Renzi ha avuto, secondo la Brigata, l’arroganza di ripudiare il dogma, che fino a Bersani era: “mai nemici a sinistra”. Renzi ha preso atto che con loro non si può governare. Di qui la loro ricerca ossessiva del leader esterno, sul quale caricare le frustrazioni di una storia ideologica che non riesce a fare i conti con l’idea che sì, è vero, il capitalismo non è l’ultimo grido dell’evoluzione umana, ma, come ha osservato acutamente Ruffolo, “ha i secoli contati”. In forza di tale ossessione, hanno persino digerito, con l’aiuto di qualche pillola ideologica, acquistata alla farmacia ancora aperta della Terza internazionale e del togliattismo machiavellico, che Tsipras sia andato a fare un’alleanza di governo con un movimento di destra estrema, ma ostile all’Europa. Una sorta di Lega Nord in insalata greca. L’avesse fatto Renzi, si sarebbero rivolti alla Corte dell’Aja.
La realtà non tarderà a vendicarsi, molto a breve. Forse, al tramonto della Brigata Kalimera — ma la battuta viene facile — si chiameranno abbastanza presto “Brigata Kalinichta”, la Brigata buonanotte? Non importa. Avanti un altro Cavaliere bianco! Lo slogan è pur sempre “cercare ancora”.