Bisogna saper perdere, recitava una vecchia canzone. Non di rado, però, in politica il problema che si presenta è esattamente il contrario. A volte si tratta di gestire bene una vittoria clamorosa per non depotenziarla al punto di trasformarla, alla lunga, in un sostanziale boomerang. Bisogna anche saper vincere, a volte, insomma. Accadde a Berlusconi. Dopo la vittoria del 2008, con una sinistra annichilita, nella fase del dopoterremoto all’Aquila sembrava padrone assoluto tanto della scena mediatica che di quella politica. Eppure, se con umiltà avesse accettato l’invito di Napolitano a tendere la mano sulle riforme anche agli sconfitti forse avrebbe gestito quella fase in modo da chiudere un’operazione storica, invece in pochi mesi quella grande dote ottenuta in termini di consensi è progressivamente evaporata, senza lasciare traccia nei libri di storia.



Renzi sembra esser caduto nello stesso errore. Incassata la fragorosa vittoria dell’elezione di Mattarella sarebbe dovuta scattare da parte sua, a mio avviso, la magnanimità del vincitore. Tanto, chi ha vinto ha vinto e non è necessario umiliare gli sconfitti per darne pubblica dimostrazione. Anzi. Una figura come quella di Mattarella poteva essere utilizzata facilmente per un’operazione inclusiva, conciliatoria e completare la vittoria.



Invece Renzi ha lanciato la sfida, muro contro muro contro le opposizioni, senza avere nemmeno la certezza di poter domare la sua opposizione interna che in questa situazione diventa decisiva. Certo, le riforme o prima o poi vanno fatte, e ogni ulteriore rinvio dà l’impressione di rappresentare solo l’ennesimo menare il can per l’aia. Ma toni e forme per ricordarlo, forse, potevano essere diverse e, forse, si poteva riuscire almeno ad evitare questo Aventino che davvero depone male per l’immagine di una politica già troppo distante dalle attese e dall’immaginario della gente comune.



Dal canto suo il nuovo inquilino del Quirinale non ci ha messo tanto a far capire che la musica è cambiata. Con Napolitano ancora regnante ci saremmo trovati di fronte a un monito forte ai partiti che salgono sui banchi, che gettano faldoni in aria e se le danno pure, fino a decidere, i gruppi di opposizione, di disertare del tutto le aule parlamentari. Mattarella invece si è preso il suo aereo di linea e si è recato nella sua Palermo e, dopo essersi più volte sentito con Laura Boldrini, ha lasciato che i deputati e i gruppi della Camera si impegnino da soli a sanare la ferita creatasi a Montecitorio. Chi ha chiesto appuntamento al Quirinale lo ha ottenuto, ma non ad horas, per martedì, e ci sarà tutto il tempo quindi per sviluppare prima una riflessione interna senza sperare, in ogni caso, nell’opera risolutiva di un presidente che ha già chiarito di voler restare arbitro, chiedendo ai giocatori di aiutarlo, rispettando le regole.

Nessuno pensi quindi che, stavolta, possa essere di nuovo il Quirinale, come prima, a togliere le castagne dal fuoco ai partiti che non riescono a mettersi d’accordo. Bisognerà fare uno scatto in avanti, un po’ tutti. E il primo dovrà essere Matteo Renzi. Da lui mi aspetterei un grande gesto di umiltà, chiusa con tante ferite questa sessione sulle riforme con il rinvio del voto finale. Un gesto che riproponga una gestione comune, concordata, dei temi più scottanti. Temi in cui c’è in ballo l’Italia, non una fazione sola. E l’occasione, che ci saremmo risparmiati volentieri, la fornisce questa drammatica situazione in Libia che vede il nostro Paese a poche miglia marine di distanza, in pratica, dalla guerra e dall’avanzata del sanguinario Califfato. La minaccia, vuoi via terra attraverso gli sbarchi, vuoi per via aerea con un attacco missilistico, è davvero concreta e terribile, e richiede una saldezza di nervi insieme a una grande unità di intenti.

In un momento in cui la fine del tunnel della crisi sembrava avvicinarsi veramente, proprio non ci voleva. Ma può diventare ora l’occasione per mettere un po’ di sale in zucca (speriamo) a tutti i nostri rappresentanti politici. Il buon esempio però lo deve dare Renzi, chiarendosi innanzitutto con se stesso se non sia sbagliato continuare a coltivare la minaccia, il piano B, del voto anticipato. Non sarebbe un bene, non è mai un bene andare a una rottura traumatica della legislatura. Sarebbe un pessimo segnale all’Europa. Ma in questa situazione potrebbe addirittura rivelarsi una mossa irresponsabile, al di là del rimpallo di responsabilità che certamente ne deriverebbe. Si facciano pure le Regionali, con l’inevitabile portato di polemica politico-partitica che accompagna sempre questi turni locali. Ma si eviti di arrecare danni potenzialmente irreparabili al nostro Paese. Il tanto peggio tanto meglio non gioverebbe davvero a nessuno, alla fine.