Allarme verde, anzi rosso. Scricchiola sinistramente la Lega schiacciasassi targata Matteo Salvini. Nel momento del massimo sforzo per conquistare il Sud, scoppia nella culla del leghismo il caso Veneto, con la conseguenza di mettere a rischio la travolgente avanzata avvenuta in meno di 15 mesi.

Il signor no ha le sembianze del sindaco di Verona, Flavio Tosi, che si dice pronto a candidarsi in autonomia se la frattura con Salvini (e con il governatore uscente Luca Zaia) non sarà ricomposta a breve. 



La situazione ha del paradossale, perché Tosi è il segretario della Liga Veneta, e Zaia il governatore più amato d’Italia, superfavorito alle elezioni di maggio. Le ruggini sono però vecchie, e ciascuno difende le proprie posizioni con ostinazione. 

Tutto nasce intorno al luglio 2013, quando, grazie alla mediazione dell’allora segretario Roberto Maroni, viene siglato un patto: Salvini correrà per la segreteria, Tosi sarà il candidato del Carroccio alla leadership del centrodestra. In quel momento la Lega era un partito moribondo. Circolavano sondaggi che la collocavano addirittura al di sotto del 3%.



La prima parte dell’accordo venne rispettata, così Salvini divenne a dicembre segretario anche con l’appoggio di Tosi. Poi accadde l’imponderabile, e cioè la lenta ma costante risalita del Carroccio salviniano, che tocca il 6,2% alle europee di maggio 2014, ed esplode nei sondaggi, sino a toccare cifre (virtuali) mai viste prima, fra il 12 e il 15%, prefigurando un clamoroso sorpasso su Forza Italia.

Certo, questo livello di consenso non è stato raggiunto in modo indolore. La secessione e la Padania sono state messe tra parentesi, a vantaggio di parole d’ordine in grado di funzionare dal Brennero a Lampedusa: basta con il rigore europeo, via dall’euro, lotta alla disoccupazione, alla criminalità e all’immigrazione clandestina. Meno Bossi e più Le Pen. In una fase di profonda crisi economica e con Forza Italia allo sbando, Salvini ha occupato un enorme spazio politico rimasto sguarnito. E l’ipotesi che il leader leghista possa essere candidato a Palazzo Chigi ha cominciato a prendere sempre più quota, insieme ai sondaggi.  



Questa ipotesi Tosi non ha però la minima intenzione di contemplarla. Rivendica il rispetto del patto, anche se lo stesso Maroni ammette che dal luglio 2013 le cose sono così cambiate con l’esplosione del fenomeno Salvini, che non se ne può non tenere conto. In Veneto è guerriglia, e la guerra aperta dietro l’angolo. Tosi contesta il veto del suo segretario federale a fare alleanze con Ncd, e alza la posta. A suo giudizio, se si fa un ragionamento circoscritto al Veneto, è meglio presentare solo la lista della Lega senza quelle di Forza Italia e Ncd. Se invece si fa un ragionamento nazionale è incomprensibile escludere Ncd producendo una rottura anche con Berlusconi. Secondo il sindaco di Verona, dire sì a Forza Italia e no a Ncd non è comprensibile agli elettori che non percepiscono quale differenza ci sia tra Berlusconi e Alfano.

La corda è tesa al massimo, e Salvini deve decidere il da farsi. Sinora si è limitato a dire che non c’è tempo per i litigi interni alla Lega, anche perché fanno il gioco della sinistra. Gli incontri a tre, con Tosi e Zaia, sono stati interlocutori. il tempo però stringe, e una decisione dovrà essere presa rapidamente. 

Salvini aveva pensato a un congresso straordinario l’8 marzo a Genova per aprire la campagna elettorale regionale, ma l’idea pare tramontata, anche perché su questa ipotesi il sindaco di Verona si è messo di traverso. Probabile, a questo punto che ogni decisione verrà rinviata a dopo la manifestazione convocata il 28 febbraio in Piazza del Popolo a Roma. Se sarà un successo, Salvini cercherà di imporre la propria linea da una posizione di forza.

La cocciutaggine di Tosi è però proverbiale. A Roma quasi certamente lui non ci sarà, come molti dei suoi fedelissimi. Zaia, invece, sarà in prima linea. In ballo c’è la regione simbolo del buon governo leghista, che un’eventuale candidatura del sindaco di Verona metterebbe a serio rischio. Rompere con Tosi sarebbe un azzardo che Salvini potrebbe pagare a caro prezzo. Ne va della sua credibilità di leader nazionale, che non può permettersi una sconfitta nella propria roccaforte storica, anche se il segretario leghista sembra davvero tentato dal tirare diritto.

Passa per il Veneto anche la possibilità di ricostruire un’alleanza di centrodestra minimamente credibile e competitiva, che vada al di là della “piccola intesa” con la Meloni e Fratelli d’Italia. Servirebbe una “quadra”, per dirla con Bossi. L’accordo privilegiato con Berlusconi è durato lo spazio di un mattino, ed è stato soppiantato da quello fra Forza Italia e Ncd, funzionale a difendere l’unica altra regione in cui vi siano reali chanches di battere il Pd di Renzi, la Campania di Stefano Caldoro.  

In chiave futura, però, il Veneto sarà la battaglia più importante. E Salvini sa che la Lega da sola (o con il partito “gemello” del Sud) non può bastare a battere l’altro Matteo, quello che sta a Palazzo Chigi.