“Berlusconi voterà sì alle riforme istituzionali non per fare un piacere a Renzi ma a se stesso”. Ne è convinto Stefano Folli, editorialista di Repubblica, nonostante le polemiche tra Pd e Forza Italia che dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato si sono fatte sempre più feroci. Ieri l’europarlamentare azzurro, Giovanni Toti, ha rimarcato che “il patto del Nazareno così come lo avevamo interpretato fino ad oggi noi lo riteniamo rotto”, aggiungendo che sulle riforme “noi non ci sentiamo legati a condividere un percorso nel suo totale perché quel totale prevedeva un presupposto fondamentale che era: sulle istituzioni si sceglie insieme e dunque anche sul capo dello Stato”. Il vice segretario del Pd, Debora Serracchiani, gli ha risposto che “se il patto del Nazareno è finito, meglio così. La strada delle riforme sarà più semplice. Arrivare al 2018 senza Brunetta e Berlusconi per noi è molto meglio”.



In una precedente intervista lei aveva detto che l’elezione di Mattarella avrebbe rafforzato il Nazareno, ora si dice che il Patto si è rotto. E’ la realtà o sono solo schermaglie?

E’ chiaro che nel momento in cui il Patto non funziona per accordi di sistema, si segna una battuta d’arresto. L’idea di Berlusconi però era che di fatto il presidente della Repubblica lo sceglieva lui. Era troppo per un patto così asimmetrico, con un Pd così forte e Forza Italia così debole. E’ quindi tutto un equivoco. Il Patto si è rotto nel momento in cui Renzi ha detto che il capo dello Stato lo sceglieva lui e non Berlusconi. Ora Toti non fa altro che prendere atto della realtà.



Che cosa rimane del Patto del Nazareno?

Ciò che rimane è votare insieme alcune riforme e Berlusconi lo farà. Che cosa potrebbe fare del resto? Non può certo dire che non gli va più bene il monocameralismo. La stessa legge elettorale con il premio di lista era una vecchia proposta del centrodestra.

In questo momento però il premio di lista per Renzi è un’”assicurazione sulla vita”…

Naturalmente Renzi ha usato questa parte dell’Italicum contro Berlusconi, in maniera tatticamente astuta. Ma ormai Forza Italia l’ha votata al Senato, Forza Italia ha i numeri per votarla da solo, e quindi parlare di una “rottura” del Patto del Nazareno non vuole dire niente. Votando le riforme Forza Italia non fa un piacere a Renzi, che a questo punto non ne ha più bisogno, bensì a se stessa per non uscire completamente dal circuito delle decisioni che contano.



Adesso Renzi si sposta più a sinistra?

In un certo senso sì, ma soltanto dal punto di vista degli equilibri parlamentari. Nei fatti continuerà con la sua strategia, che è quella di prendere i voti anche dei moderati.

Questo gioco gli riuscirà ancora a lungo?

Sì, perché l’Italia moderata non sa dove andare. Se esistesse un partito di centrodestra credibile potrebbe creare dei problemi a Renzi, ma il dato di fatto è che questo partito non c’è. Lo stesso piglio decisionista del premier lo rende una figura attraente per un certo elettorato. Ultimamente i consensi di Renzi sono in calo, ma se dall’altra parte non c’è niente è chiaro che si trova con la strada spianata.

 

La Camera modificherà l’Italicum, per esempio con una riduzione del numero dei capilista bloccati?

E’ plausibile, un certo margine per intervenire c’è e questo rafforzerebbe l’accordo dentro al Pd. Il vero accordo che Renzi deve fare è quello di garantire alla minoranza del parlamento un certo numero di seggi in Parlamento anche dopo il 2018.

 

Per sopperire ai voti di Forza Italia, Renzi ha fatto dei “nuovi acquisti”?

Sì, c’è una pattuglia di fuoriusciti che all’occorrenza potrebbero dare una mano.

 

Lupi simbolicamente non siede più al governo. Lei come vede la posizione di Ncd?

Lupi con i suoi comportamenti è la dimostrazione ulteriore del fatto che il centrodestra in tutte le sue accezioni oggi è in frantumi. In Forza Italia stiamo assistendo a una violentissima lacerazione e anche in Ncd ci sono dei problemi enormi. Occorre invece una riflessione diversa.

 

E sarebbe?

Se nel medio-lungo termine si vuole ricostruire una forza moderata che si opponga a Renzi, bisogna farlo sulla base di temi e contenuti perché è qui che il premier può essere contrastato. Una riorganizzazione della società italiana su basi liberal-democratiche, la difesa della famiglia e dei temi etici sono aspetti che Renzi non può riuscire a cavalcare. Ma se tutto si riduce a un gioco tattico è chiaro che vince il segretario del Pd perché è il più bravo.

 

Come vede il rapporto Renzi-Mattarella alla luce dell’autonomia rivendicata da quest’ultimo?

Un presidente autonomo come Mattarella non può che fare bene al nostro sistema politico, che è fondato sul dualismo tra presidente della Repubblica e presidente del Consiglio. Renzi avrebbe preferito un capo dello Stato che non interpretasse questo dualismo, ma del resto ha avuto coraggio nell’indicare Mattarella in quanto la sua autonomia per lui rappresenta comunque un rischio.

 

Un punto debole di Renzi è la politica economica. Può deviare dall’austerity, anche guardando a Tsipras?

La politica economica di Tsipras non è adatta all’Italia. Un conto è quello che Renzi dice nelle conferenze stampa, dove si ammanta del ruolo di leader di sinistra assumendo dei toni scanzonati, perché questo può anche piacere a un certo elettorato. Bisogna poi distinguere quello che fa veramente, e da questo punto di vista non credo affatto che l’Italia possa seguire la lezione greca sul piano della politica economica. E’ vero però che in Europa la vicenda greca ha gettato un sasso nello stagno e pone interrogativi a tutti, anche ai custodi del rigore tedesco.

 

(Pietro Vernizzi)