La grande scommessa è vinta, ma adesso viene il difficile. Matteo Salvini ha riempito Piazza del Popolo, ora però deve decidere come spendere politicamente il consenso che ha dimostrato di avere. E qui viene il difficile.
Per dimostrare il suo peso politico il leader della Lega ha dovuto mettere in campo uno schieramento estremamente variegato che potrebbe rivelarsi la sua forza, ma anche la sua debolezza. Non c’erano solamente leghisti in piazza a Roma. C’era il partito gemello e satellite nato per conquistare il centro sud, il neonato “Noi con Salvini”, c’era la Meloni con i suoi “Fratelli d’Italia”, c’era il Pin (Partito Italia Nuova) di Armando Siri, profeta italiano della flat tax (l’aliquota fiscale unica), e c’era anche (o forse soprattutto) la destra estrema di Casa Pound, un compagno di strada che si potrebbe rivelare assai scomodo per il leader del Carroccio.
Su un grande striscione si leggeva: “Berlusconi politicamente morto, meglio soli”. Una sintesi impietosa di un sentire largamente diffuso nella base salviniana. Il segretario è parso più cauto, però, lasciando la porta aperta a Forza Italia, a patto che divida definitivamente la sua sua strada da quella di Angelino Alfano. Probabilmente Salvini il contenuto dello striscione sotto sotto lo condivide, ma con una sana dose di realismo sa che al momento la corsa solitaria vorrebbe dire condannarsi all’irrilevanza, a rendere inutili e confinati in un angolo milioni di voti potenziali.
Salvini, invece, vuole vincere, soprattutto in Veneto, non è affatto animato da spirito decoubertiniano. E Forza Italia si attende che da lunedì il dialogo mai interrotto sul Veneto possa riprendere al riparo dall’esigenza di alzare i toni per riempire la piazza. Del resto i fedelissimi di Berlusconi fanno sapere che fra il suo ex delfino e il Carroccio, l’ex Cavaliere non ha dubbi, ed è disposto persino a mettere a rischio la riconferma di Stefano Caldoro in Campania pur di non rinunciare al rapporto privilegiato con la Lega.
A medio e lungo termine, però, diventa sempre più chiaro che è in corso un’Opa leghista sul centro destra. Un’Opa che se non è ostile poco ci manca. Salvini corre da leader, e dimostra grande disinteresse rispetto al ceto politico del fu Pdl che bussa con insistenza alla sua porta. In pochi sono stati “adottati”. Sul palco solo la ex deputata Souad Sbai ha preso la parola, in piazza c’era Barbara Saltamartini, pochi altri confusi fra la folla. Intenzione dichiarata di Salvini è di rivolgersi agli elettori moderati, ai tanti che hanno smesso di andare a votare per sfiducia nella politica e nei partiti.
E a chi gli chiede se non teme di spaventare i moderati, ripete la sua convinzione che i moderati abbiano ormai perso la pazienza e non ne possano più del governo e della crisi economica da cui l’Italia non riesce a uscire. Un problema che unisce nord e sud nel segno di tre parole d’ordine: no euro, stop immigrazione clandestina e lotta alla disoccupazione.
A Roma si è sancita definitivamente la mutazione genetica della Lega. Da partito secessionista e nordista, che Salvini prese in mano quindici mesi fa al 3% scarso, a forza nazionale valutata fra il 12 e il 15%. un cambio di pelle tutt’altro che indolore. C’è un pezzo di vecchia Lega, fatto tanto da semplici elettori quanto da dirigenti di peso, che la conquista del Sud non la vede di buon occhio. E neppure apprezza — Bossi in testa — di accompagnarsi a Casa Pound. “Vedi quanti fascisti ci siamo caricati”, diceva perplesso un esponente lombardo di peso, “andando avanti così, questo non sarà più il mio partito”.
Si tratta di segnali di disagio di cui Salvini non potrà non tener conto. Il caso Tosi è indicativo dei sussulti che scuotono il Carroccio. In ballo c’è molto più della semplice alleanza destinata a sostenere la ricandidatura di Luca Zaia a governatore del Veneto. In discussione c’è la prospettiva delle alleanze, con o senza Ncd, insomma, partito con cui la Lega governa oggi sia a Venezia che in Lombardia.
In casa leghista la corda è tirata al massimo e potrebbe anche spezzarsi. Lunedì si riunirà a Via Bellerio a Milano il consiglio federale leghista, che dovrà sciogliere definitivamente la grana veneta. I toni si sono leggermente abbassati. Tosi a Roma è andato, anche se controvoglia. E’ rimasto lontano dal palco, ma alla fine un abbraccio con Salvini fa sembrare più lontana l’ipotesi di una clamorosa espulsione dal Carroccio. E i pontieri, Maroni in testa, sono al lavoro per evitare la rottura.
Due, insomma, sono i rischi che corre Salvini: da una parte perdere un mezzo di militanza storica, che giudica il Carroccio ormai snaturato, dall’altra condannarsi all’irrilevanza. Deve smentire chi lo giudica come l’avversario più facile da battere per Renzi, perché il più estremista. Non sarà facile, ma lui, il quarantenne che aveva raccolto l’eredità di un partito moribondo, giura che ci proverà in ogni modo.