Questa assoluzione è una vera condanna per Silvio Berlusconi. Assoluzione in terzo grado per il caso Ruby, ripulitura (anche se ci saranno cascami) dall’accusa più scabrosa, quella di sfruttare l’universo femminile con la forza dei soldi. Meglio di così — uno che vuole sempre vincere se vince è contento — che cosa avrebbe potuto sperare? Tutto giusto. Però l’agire politico dell’ex Cav è sempre stato connotato, anzi generato, da tre componenti: la capacità tattica e l’intonazione intuitiva rispetto alla pancia del paese; l’umore; la consapevolezza di essere stato e di essere un imprenditore, con i naturali, nel senso di ovvi, relativi interessi. Questi tre elementi si sono spesso, anzi sempre, intrecciati con le vicende giudiziarie, venendo a loro volta influenzati, indirizzati e plasmati dalle fasi e dagli esiti dei procedimenti a carico. 



Ora, con questa assoluzione, Berlusconi è condannato a restare in politica e in più è condannato — dal suo umore e dai suoi interessi, forse meno dalla pancia — a tornare a essere dialogante. E’ condannato a restare in politica perché non c’è alle viste alcun federatore dei due, tre, quattro centrodestra nascenti. E’ condannato a restare in politica perché una pena l’ha scontata, anche se a Cesano Boscone dice di voler tornare, e l’altra non l’ha avuta: tocca essere pronti a godersi una qualche forma di riabilitazione per lo meno per i posteri, per lo meno per i propri cari, soprattutto ora che le sue aziende sono nella fase delle doppie — Rizzoli libri e RaiWay — grandi manovre per il riposizionamento 2.0. 



Se fosse stato condannato, sarebbe stato condannato a restare in politica dall’umore: io vittima di una giustizia faziosa e processato perché capo dello schieramento avverso alla sinistra, io reagisco. Se fosse stato annullato il verdetto di secondo grado con rinvio a un’altra decisione in appello, sarebbe stato condannato a restare in politica per difendersi anche dai processi e anche con la politica. E qui sarebbe prevalsa la componente tattica, quella della pancia intuitiva. Ora che è stato assolto, è condannato a restare in politica dalla miscela di interessi al lieto fine, da riabilitando, e dalla innata propensione al business prossimo venturo. Qui prevale la consapevolezza di essere stato e di essere un imprenditore. 



Prima di ogni appuntamento giudiziario decisivo il Cav alza i toni da oppositore: non votiamo le riforme, Pd prepotente. Dopo una condanna o una decadenza, Berlusconi tramuta i toni in decisioni, in sfiducia, in campagne elettorali permanenti. Dopo un’assoluzione, si siede al tavolo della trattativa. Che poi il tavolo sia a Largo del Nazareno o a Palazzo Mezzanotte non è poi così rilevante per un leader che da anni cerca di liberarsi di ogni suo partito ma pare condannato alla politica. Certo, questa assoluzione è una condanna più tenue a restare in politica di tutti gli altri possibili esiti. Quasi quasi ci si può godere un po’ di libertà.