Flavio Tosi è decaduto ed è fuori dalla Lega. I casi della vita… E’ toccato a Bossi, recordman storico di espulsioni dalla Lega ai tempi in cui ne era il padre-padrone, spiegare che sarebbe un errore espellere Tosi, guarda caso uno di quelli che in altre epoche lui avrebbe defenestrato in quattro e quattr’otto! Già questo è un indice del vicolo cieco in cui è finito il Carroccio nella vicenda veneta, ed anche l’espressione di quanto manchi al movimento una leadership vera. 



Sulla carta il punto è chiarissimo, e di conseguenza doveva esserlo anche la soluzione: se il nodo è la composizione delle liste alle prossime regionali del Veneto (visto che Tosi non ha mai annunciato l’intenzione di candidarsi, se non ora che è stato cacciato), un leader vero avrebbe preso i due contendenti, lo stesso Tosi e Zaia, e li avrebbe obbligati a mettersi d’accordo. Invece Salvini, che è un rodomonte di cartapesta, non ne ha avuto né la personalità né le capacità; così si è schierato con il più forte, cioè il governatore uscente, e anziché tirar fuori una ragione vera si è attaccato al pretesto dell’incompatibilità tra la fondazione del sindaco di Verona e la Lega. Dimenticando, o fingendo di farlo, che la fondazione non è nata ieri ma è in piedi da un anno e mezzo; che non ha mai manifestato l’intenzione di fare proprie liste; che per inciso uno dei primi ad averne in tasca la tessera è Maroni… Che farà, l’avrà già stracciata o rischierà di essere espulso pure lui?



Il fatto è che i partiti, tutti e non solo la Lega, sono fatti da conigli mannari, per ricorrere alla magistrale etichetta a suo tempo affibbiata da Gianfranco Piazzesi ad Arnaldo Forlani. Non sono mai loro che cacciano i dissidenti, sono questi ultimi ad auto-espellersi… Nel Carroccio, in particolare, i cartellini rossi fioccano da sempre. A parte il già ricordato Epurator-Bossi, ne sanno qualcosa in Veneto fin dai tempi del padre fondatore Rocchetta, indomito tagliatore di teste assieme alla sua “first siora” Marin; e lo stesso Tosi, da quando è segretario regionale, ha emesso provvedimenti a raffica; fino a rimanerne vittima a sua volta. Il punto vero è capire come e perché si sia arrivati a tanto: cercando di rendersi conto, una volta ogni tanto, che dietro a divorzi traumatici ci sono sempre responsabilità condivise. 



Tosi è stato troppo decisionista, e da mesi lavora per costruire una Lega a sua immagine e somiglianza, anche avvalendosi di manodopera esterna di indiscussa competenza nelle grandi manovre, come qualche componente della ex Dc veneta dorotea. Quanto a Zaia, ha avuto il torto di non volersi mai occupare del partito, imitando in questo la scelta del suo predecessore nel governo del Veneto Giancarlo Galan: non a caso Forza Italia oggi in regione è sfasciata, non a caso il Carroccio è piombato nei casini.

Ma  dietro a tutto ciò sta una ragione ben più profonda, ed è forse la sola a motivare perché la frattura sia risultata inevitabile: le linee politiche sul futuro della Lega tra Salvini e Tosi sono esattamente antitetiche. Il primo vuole andare a occupare l’area ribellista e malpancista della destra dura e il ventre molle dell’elettorato sfiduciato e astensionista; il secondo guarda a una rifondazione del centrodestra moderato, più che mai urgente adesso che Berlusconi sta perdendo un colpo dietro l’altro, e alle sue spalle si apre un baratro.

Due strategie, come si vede, che non possono conciliarsi. Si era forse illuso Tosi, quando accettando a suo tempo la spartizione di ruoli con Salvini (quest’ultimo segretario, il primo candidato alle primarie del centrodestra) pensava di poter rivestire un ruolo politico di calibro nazionale, per lui molto più interessante della presidenza di una Regione. D’altra parte, all’epoca Salvini non aveva ancora operato la svolta a U che sta imprimendo al partito, e alla quale – è bene chiarirlo – è giunto in maniera del tutto autonoma e personale, senza l’avallo di un congresso, come sarebbe doveroso per un partito che si inventa una nuova linea politica.

In qualche modo, alla fine ne pagheranno il costo un po’ tutti. Tosi, perché fuori dalla Lega rischierà l’invisibilità; Zaia, perché così rischia di perdere o comunque di avere una vittoria dimezzata, Salvini, perché comunque vada a finire avrà fatto un’ostentazione di debolezza. Peccato che il grosso del conto lo pagheranno dirigenti e militanti leghisti. Ma di loro, chi si è mai preoccupato?