Alcune dichiarazioni di Alessandro Criscuolo, presidente della Corte costituzionale, pronunciate in occasione dell’annuale conferenza stampa, hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica: due auspici e un avvertimento. Per un verso, nell’ambito della relazione sulla giurisprudenza del 2014, il presidente ha formulato “l’auspicio di una riforma del Titolo V ispirata a canoni di semplificazione e chiarezza”, e “l’auspicio che la Corte possa sempre operare al completo dei suoi componenti”. Per altro verso, nel corso delle risposte alle domande formulate dai giornalisti, il presidente ha rilevato che con il controllo preventivo sulle leggi elettorali – che sarebbe attributo alla Corte costituzionale secondo la riforma costituzionale approvata pochi giorni fa in prima lettura dalla Camera – si affiderebbe “alla Corte un ruolo che non le spetta”. Certo, ha rilevato il presidente, non appare opportuno anticipare i futuri scenari, dato che la legge non è ancora entrata in vigore, ma in ogni caso il controllo preventivo anche se circoscritto alle leggi elettorali, “meriterebbe un’ulteriore fase di riflessione che non mi risulta ci sia stata”; in definitiva, “la consulenza preventiva può essere una formula non opportuna”. 



Può anche segnalarsi che nella relazione sintetica illustrata dal presidente non si è fatto cenno della sentenza sulle leggi elettorali, quella sentenza cioè con cui la Corte appare avere inaugurato un’impostazione particolarmente incisiva nei rapporti con le istituzioni politiche proprio con riferimento alla questione dei limiti costituzionali alle modalità di selezione degli organi rappresentativi. Mentre poi la discussione pubblica si è sviluppata proprio su questa tematica, a dimostrazione del fatto che le conferenze stampa sono un’occasione utile per andare al di là dei testi scritti, dove tutto è definito con particolare precisione, così come appare dall’attenta formulazione di entrambi gli auspici sopra ricordati. 



La dichiarazione sul controllo preventivo si inserisce, a ben vedere, in una linea di pensiero che concordemente sostiene la necessità di non modificare il tradizionale assetto delle forme di accesso al giudizio di costituzionalità, assetto che sinora ha consentito alla Corte costituzionale di restare “neutrale”, nel senso dell’estraneità alle dinamiche proprie del giuoco politico-istituzionale. Il suo ruolo magistratuale nei giudizi di legittimità, in altri termini, è risultato esaltato e garantito dall’intervento successivo e dalla diretta colleganza con l’ordine giudiziario mediante la strada dell’accesso in via incidentale. Mentre l’accesso in via diretta – e sempre successivo, seppure in termini temporali assai ristretti – è limitato ai giudizi innescati dallo Stato avverso le leggi regionali e dalle Regioni avverso le leggi statali, e appare dunque una strada complementare opportunamente circoscritta ai contenziosi intersoggettivi. 



Il giudizio preventivo azionato da soggetti politicamente qualificati all’interno del panorama parlamentare muterebbe il senso dell’intervento richiesto alla Corte, e dunque dovrebbe inserirsi in una più vasta operazione di mutamento dell’attuale giustizia costituzionale.

Come ha detto il presidente, dunque, si tratta di una modifica su cui riflettere attentamente. Tuttavia, ci si può chiedere se l’intervento del presidente della Corte sia di per sé capace di far mutare orientamento all’esecutivo, spingendo quest’ultimo a correggere la riforma in corso. Purtroppo la politica ha i suoi tempi e, fatta salva l’eventualità che tutta la riforma si avvii verso un binario morto, l’eventualità di nuove correzioni appare ormai ridotta.

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