“Quando le intercettazioni finiscono sui giornali, la violazione del segreto d’ufficio ha l’unico effetto di proteggere i colpevoli. Distrugge l’autorità e la legittimità dei processi e delle Procure e quindi mina l’intera disciplina della giustizia in Italia”. Sono le parole di Edward Luttwak, politologo e saggista, a proposito della vicenda che vede come protagonista il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi. Ieri il ministro ha replicato a chi chiedeva le sue dimissioni affermando: “Voglio andare in Parlamento a riferire sulle scelte. Devo dare tutte le risposte politiche e individuali, la maggioranza valuterà sulle mie parole”.



Luttwak, che cosa ne pensa del modo in cui sono state utilizzate le intercettazioni nel caso Lupi?

L’uso delle intercettazioni per la repressione della corruzione diffusa non è un fatto criticabile. Quando però il testo di qualsiasi intercettazione arriva alla stampa senza essere parte integrale di un documento ufficiale, questa fuga di notizie dovrebbe essere oggetto di immediate e intense investigazioni. Se si scopre che è stato un procuratore che ha fornito questi dati alla stampa, il suo dovrebbe essere trattato come un atto di ostruzione alla giustizia, cioè investigato nella maniera più intensa, processato rapidamente e condannato con pene molto severe.



Perché ritiene che si debba utilizzare tanta durezza?

Il magistrato che svela i segreti d’ufficio e li dà alla stampa può farlo solo per motivazioni faziose, se non per pura indisciplina. E’ un malcostume e un crimine gravissimo il fatto che ciò sia stato accettato dall’Italia, sulla base del fatto che i magistrati non investigano altri magistrati.

Dove deve essere tracciata la linea?

Se sei intercettato e in seguito condannato in quanto corrotto va benissimo. Se invece sei intercettato e le tue parole sono sbandierate sui media con tagli e selezioni arbitrarie per distruggere la tua reputazione, questo è gravissimo a livello personale. Ma soprattutto a livello dello Stato si tratta della violazione del segreto d’ufficio, che paradossalmente ha l’effetto di proteggere i colpevoli. Distrugge infatti l’autorità e la legittimità dei processi e delle Procure e quindi mina l’intera disciplina della giustizia in Italia.



Che cosa occorre fare?

Questo malcostume deve finire adesso. Se c’è un’indagine e i dati sono pubblicati sui giornali, senza essere presi da un documento ufficiale di un tribunale, si devono subito mettere in campo tutti i possibili sforzi investigativi, scoprire chi è stato e se è un magistrato o un funzionario deve essere processato per direttissima e condannato per sabotaggio del sistema di giustizia. In America per questo reato le pene sono tra i 20 e i 30 anni.

 

Per Sabelli dell’Anm “i magistrati sono stati virtualmente schiaffeggiati e i corrotti accarezzati”. Lei che cosa ne pensa?

Penso che la riforma della giustizia è diventata la prima priorità in Italia. Bisogna mettere un freno all’arbitrio inquirente. Il fatto che Calogero Mannino sia stato processato per 17 anni, che la Cassazione abbia annullato la sua condanna e che la Procura abbia iniziato un nuovo processo la dice lunga. La magistratura è una casta che utilizza i suoi poteri a scopi politici, come documenta il caso di Ingroia.

 

Una riforma della giustizia è possibile?

Spero che gli italiani appoggeranno Renzi nel suo confronto con questa casta di magistrati che hanno colonizzato l’Italia. Quelli che dovrebbero essere i servi dello Stato vogliono diventarne i padroni. E quando la Cassazione annulla le condanne, loro ricominciano da capo. Un magistrato in Italia può inquisirmi per un’accusa priva di fondamento, portarmi a un processo dopo l’altro per poi scoprire, magari solo di qui a 20 anni, che era tutto basato su un falso o su un errore macroscopico… come è possibile? In caso di errori gravi, dovrebbero essere licenziati o condannati a pagare i risarcimenti.

 

(Pietro Vernizzi)