Il procuratore generale della Corte di cassazione ha dato torto a De Magistris sulla sospensione dell’applicazione della legge Severino al suo caso. Il sindaco di Napoli è stato condannato in primo grado per abuso d’ufficio, e secondo la legge Severino la sua carica avrebbe dovuto essere “congelata”; De Magistris però ha fatto ricorso al Tar, che gli ha dato ragione e ha rimesso alla Consulta la questione della legittimità della legge Severino stessa. Ora però la procura generale della Cassazione ha dichiarato che il tribunale amministrativo non ha competenza sul caso, e che a decidere dovrà essere il giudice ordinario. Ne abbiamo parlato con Sandro Staiano, docente di Diritto costituzionale nell’Università Federico II di Napoli.
Che cosa prevede la legge Severino per quanto riguarda gli amministratori locali e i parlamentari?
La legge di Severino prevede la sospensione dalla carica come conseguenza di una condanna di primo grado, anche per reati che sono considerati di offensività minore. Si tratta di una misura cautelare di tipo amministrativo. Originariamente è stata prevista con riferimento ad alcuni gravi reati che riguardano i pubblici funzionari, come quelli relativi alla criminalità organizzata. Poi nel tempo, essendo maturata una sensibilità maggiore per questi temi, l’applicazione della misura è andata estendendosi. La legge Severino è una lettura particolarmente estesa della necessità di cautela amministrativa.
La legge Severino è stata applicata a Berlusconi, ma non a De Luca e De Magistris. Lei ravvisa una disparità di trattamento?
In realtà la misura è stata applicata anche a De Magistris, ma lui l’ha impugnata di fronte al Tar. Il sindaco di Napoli non ha ottenuto la decisione di merito bensì la sospensiva. Ha cioè presentato ricorso al tribunale amministrativo regionale in quanto riteneva che la misura gli comportasse un danno irreparabile e fosse infondata in punto di diritto.
Che cosa ha deciso il Tar?
Il Tar non ha deciso con riferimento al merito, ma ha accolto la richiesta di De Magistris di sollevare la questione di legittimità di fronte alla Corte costituzionale. Il tribunale regionale ha infatti ritenuto che il ricorso non fosse irrilevante né manifestamente infondato, e ha rimesso la questione alla Consulta. In attesa di un pronunciamento di quest’ultima, ha sospeso l’efficacia della misura contro De Magistris. Lo stesso Consiglio di Stato ha poi confermato la decisione del Tar.
Per il procuratore generale della Cassazione però la competenza non era del Tar ma del giudice ordinario. Ora che cosa accadrà?
Ora la questione andrà davanti alle sezioni unite della Cassazione, e se fosse confermata la posizione del procuratore generale, il Tar avrebbe difetto di giurisdizione. Se fosse così bisognerà vedere che fine farà la sospensione della misura cautelare contro De Magistris. In attesa che si pronunci il giudice ordinario, non è escluso infatti che la decisione del Tar sia comunque provvisoriamente confermata. Ormai la questione è arrivata di fronte alla Corte costituzionale, si tratta di vedere se venga meno l’efficacia della sospensione decisa dal Tar o se si possa pensare a un effetto di “traslazione”. Quest’ultimo si ha quando, nel corso del nuovo processo davanti al giudice ordinario, l’interessato conserva quanto ha ottenuto di fronte al giudice amministrativo.
De Luca, quando ha vinto le primarie, ha chiesto al Parlamento di intervenire. Lo ritiene un fatto possibile?
Il Parlamento potrebbe intervenire soltanto modificando la legge Severino. I presupposti perché ciò avvenga, soprattutto dal punto di vista politico, però non ci sono. Il Parlamento non può certo assumere il ruolo della magistratura.
Il premier ha dichiarato: “Ho sempre detto che non ci si dimette per un avviso di garanzia”. Che cosa ne pensa delle recenti prese di posizione di Renzi sul tema della giustizia?
E’ in effetti un principio costituzionale a prevedere che nessuna persona possa essere considerata colpevole fino a sentenza definitiva di condanna. Dal punto di vista giuridico-istituzionale è così. A ciò si aggiunge però una questione di legittimità politica. Anche in ragione della gravità dei fatti prospettati e dell’allarme che suscitano, può essere preferibile che un politico si dimetta perché se non lo facesse ciò potrebbe comportare un allarme sociale.
E quindi?
Se si segue un orientamento, poi va fatto con coerenza e deve valere per tutti. Se noi riteniamo che fino a quanto c’è una sentenza definitiva di condanna, una persona che ha cariche pubbliche non si debba dimettere, evidentemente bisogna che ciò valga sempre. In caso diverso si crea un disorientamento nell’opinione pubblica.
(Pietro Vernizzi)