“Ho sempre detto che non ci si dimette per un avviso di garanzia. Per me un cittadino è innocente finché la sentenza non passa in giudicato. Del resto, è scritto nella Costituzione. Quindi perché dovrebbe dimettersi un politico indagato? Le condanne si fanno nei tribunali, non sui giornali”. Lo ha detto ieri il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, intervistato da Repubblica. Intanto sempre ieri è emerso che il programma Report di Milena Gabanelli conosceva i contenuti dell’inchiesta Grandi Opere una settimana prima che arrivasse l’avviso di garanzia per alcuni dei protagonisti della vicenda. Ne abbiamo parlato con Peppino Caldarola, ex direttore de l’Unità ed ex parlamentare dei Ds.



Le affermazioni garantiste di Renzi di ieri sembrano documentare che da parte sua (rispetto all’ultima vicenda Lupi) ci sono due pesi e due misure… 

Le affermazioni di Renzi contraddicono il suo atteggiamento tenuto sul caso Lupi. Ieri ha affermato che l’avviso di garanzia non costituisce motivo di dimissioni. Nel caso di Lupi non solo l’avviso di garanzia non c’era ma probabilmente non sarebbe mai arrivato. La presa di posizione di Renzi è importante e positiva, perché in qualche modo spezza il circuito politico-mediatico-giudiziario. Resta l’amarezza che di tutto questo ci si sia accorti all’indomani della vicenda del ministro Lupi e non prima. Si poteva fare prima con più coraggio e serenità.




Che cosa ne pensa alla fine del modo in cui è stato gestito il caso Lupi?

Si è scatenato un circuito mediatico molto aggressivo. Per tutelare se stesso, la sua famiglia e la sua dignità personale, il ministro ha fatto bene a fare un passo indietro. Da parte di Lupi siamo di fronte a dimissioni un po’ singolari, perché non sono state precedute da nessuna iniziativa di magistrati. Mentre da parte di Renzi, ci si poteva aspettare che ciò portasse a un atteggiamento più severo anche verso altri esponenti del suo stesso partito e della sua stessa area che si trovino nelle stesse condizioni di Lupi o peggiori.




Come ne esce la politica italiana?

Non è una pagina eccellente per la nostra politica perché a prevalere è il sospetto. Fino a qualche tempo fa bastava un avviso di garanzia per mettere fine a una carriera, oggi scopriamo che sono i titoli dei giornali a decidere sulla vita politica. Non si tratta certo di un passaggio positivo.

C’è la tendenza dei magistrati a voler cambiare il corso della politica?

La politica italiana da 20-25 anni è scandita da interventi della magistratura. In ogni passaggio della vita politica c’è stato come premessa l’intervento di una Procura della Repubblica.

Tutto ciò può portare a pensare che vi sia un unico grande disegno?

Io non ne sono convinto, anche se i magistrati non sono estranei al clima politico e soprattutto al fatto di voler partecipare al suo gioco, come si è visto con tanti giudici e pm che poi hanno scelto direttamente di fare politica.

Che cosa ne pensa dell’uso che è stato fatto delle intercettazioni?

Sull’uso delle intercettazioni sarei severissimo per tutte le vicende che non rientrano in un processo, e che non sono quindi pubbliche perché depositate dentro al dibattimento giudiziale. E sarei ugualmente severo per l’uso delle intercettazioni che riguardano la vita personale di chi viene coinvolto. Può anche essere divertente sapere le frequentazioni, i dilemmi amorosi, le sensibilità paterne di questo o quel politico, ma non è un bell’esempio che siano pubblicate parole dette al telefono dalle quali non risulta un’attività contraria alla legge.

 

La Gababelli pare da quel che emerge che avesse elementi dell’inchiesta della magistratura prima degli stessi protagonisti della vicenda. Non lo trova un fatto sconvolgente per la nostra democrazia?

Questa vicenda per cui i media sanno prima dell’inchiesta dello stesso imputato non è una novità. Ricordo che nel ’94 Berlusconi seppe dal Corriere della Sera che stava per ricevere un avviso di garanzia. C’è un feeling molto forte tra alcune testate giornalistiche e alcune Procure. Con il fatto che non è una vicenda nuova non voglio dire che è meno grave, ma semplicemente che ci stiamo accorgendo che ci sono settori della magistratura che avvertono prima i giornalisti e poi gli indagati. E’ un fatto largamente accertato, e non è certo un fatto positivo. Sicuramente si tratta di un vulnus, prima ancora per la democrazia, per i diritti della persona, e quindi per la stessa vita democratica del Paese.

 

Che cosa sta succedendo all’interno della maggioranza?

Sta succedendo una cosa apparentemente semplice: Renzi è sempre più il dominus della situazione, ma ciò provoca delle fibrillazioni, innanzitutto tra il premier e gli alleati. Il caso Lupi ha scosso l’alleato principale, Ncd, che ha ritenuto di avere pagato un prezzo troppo alto ad accuse che non sono state seguite da iniziative giudiziarie.

 

Come vede invece la situazione all’interno del Pd?

Ci sono problemi anche nell’area ex Ds, che sabato ha tenuto un’assemblea nel corso del quale la sinistra Pd, capeggiata stavolta da Massimo D’Alema, ha mosso le critiche più serrate a Matteo Renzi. Tutto ciò non equivale a dire che Renzi sia indebolito, bensì che la sua navigazione sarà sempre più in mare mosso. Nessuno di questi pericoli ne mette però in discussione l’itinerario: Renzi fino a oggi è un vincente.

 

Che cosa si aspetta dal voto sull’Italicum?

Mi aspetto che Renzi non faccia il braccio di ferro. La richiesta che gli è rivolta dalla sinistra Pd è semplice: ridurre il numero dei nominati. Il premier può dire di no, ma in questo modo si espone a un rischio che riguarda il gruppo del Pd. I mal di pancia sull’Italicum sono molto più diffusi rispetto a quelli sulla riforma del Senato, e qualcuno potrebbe essere tentato di esprimere un voto contrario.

 

Il Pd rischia la scissione?

Il tema della scissione incombe. Ciò che la rende improbabile è il fatto che gli eventuali scissionisti non sanno ancora quale possa essere il nuovo soggetto politico. E’ più facile immaginarsi una condizione di separati in casa, con gruppi che convivono nello stesso partito, ma che volta a volta decidono se votare a favore o contro i provvedimenti della maggioranza. Una specie di convivenza tra più micro-partiti, rispetto a cui la corrente renziana è maggioritaria. Anche se poi nelle periferie non sempre prevale, come documentano le vittorie alle Primarie di Vincenzo De Luca in Campania e di Michele Emiliano in Puglia.

 

(Pietro Vernizzi)