Renzi è in gran forma. Ha appena varato un a riforma della Rai in salsa neofanfaniana ipotizzando un ruolo da amministratore delegato che ci riporti ai tempi di Ettore Bernabei, l’onnipotente direttore generale incaricato di “mettere le mutande” alle ballerine di Canzonissima e Studio Uno. Più furbescamente il suo successore “le mutande” dovrà metterle al pluralismo televisivo da sostituire col pensiero unico di Matteo. Unico al mondo ovviamente. O perlomeno in Europa, perché — come assicura lui — per esempio la legge elettorale ce la copierà mezza Europa. 



L’Italicum, il suo capolavoro. Questa norma, in combinazione con quella altrettanto sbagliata della riforma del Senato, rischia di produrre effetti deleteri per la democrazia italiana assicurando una concentrazione di potere senza precedenti nelle mani di un’esigua minoranza. Parlamento, governo, presidente della Repubblica, giudici della Corte costituzionale e a cascata molte altre posizioni istituzionali. In poche parole trasformerà la nostra repubblica parlamentare in una repubblica del premier senza contrappesi democratici.



Eppure fino ad un paio di giorni fa il presidente del Consiglio sembrava disponibile ad accogliere il grido di dolore che veniva dalla minoranza mai completamente doma del suo partito. La richiesta cioè di passare dall’Italicum del Nazareno a uno schema meno centrato sui cosiddetti nominati, lasciando spazio alle preferenze e prendendo atto del ripensamento di Berlusconi. Poi ha sfoderato la sua non inusuale durezza e ha deciso di mettere sotto la minoranza Pd, imponendo non solo i contenuti già approvati al Senato ma soprattutto anticipando i tempi della definitiva discussione. 

#perchéquestascelta? Perché sfidare in campo aperto le ire di Bersani & co., fibrillando ancor più una legislatura segnata dai tormenti del Pd? In realtà Renzi sa che Bersani e Berlusconi si parlano. Ha capito che entrambi ritengono più conveniente andare presto al voto con il consultellum, il che permetterebbe ai democratici avversi al machiavellico fiorentino di promuovere un loro contenitore e di non sottostare all’umiliazione di non essere ricandidati. 



Berlusconi ha capito di aver sbagliato concedendo al figlio/nemico il premio di lista senza peraltro incassare alcunché. Se il patto era del Nazareno, a finire in croce è solo Silvio. In ogni caso la sicurezza che sfodera super-Matteo sta non tanto nel controllo ferreo della direzione del Pd, quanto nel supporto dei diciotto mercenari di Verdini alla Camera. Che uniti ai fuoriusciti grillini mettono in una botte di ferro il voto sull’Italicum. Certo i voti degli alfaniani potrebbero riaprire i giochi. Ma come loro abitudine cederanno con fermezza. Da quelle parti senza più Lupi ci sono solo belati.