“Renzi ha poco a vedere con Berlusconi, perché il primo ha conquistato un partito che esiste, mentre il secondo ha fondato un partito che non esiste”. E’ la sintesi di Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica alla Johns Hopkins University di Bologna. Nel corso della manifestazione a Roma, il leader della Fiom, Maurizio Landini, aveva detto che il governo Renzi “sta facendo come il governo Letta e quello Monti, anche con un peggioramento rispetto al governo Berlusconi”. Ieri Renzi è intervenuto alla direzione Pd affermando: “Spero sia l’ultima direzione in cui discutiamo di legge elettorale, poi è opportuno che il gruppo alla Camera abbia la possibilità di riunirsi e decidere in merito se lo riterrà opportuno. Io oggi chiedo un voto su questa riforma come ratifica di quello che abbiamo fatto e come mandato per i prossimi mesi”.
Che cosa ne pensa delle dichiarazioni di Renzi sull’Italicum?
Personalmente sono d’accordo sul ballottaggio, che doveva essere già incluso nella proposta originale. Il ballottaggio non dovrebbe però avvenire tra due liste ma tra due coalizioni, o comunque bisogna consentire il formarsi di coalizioni nel passaggio tra il primo e il secondo turno. Questo è il modo in cui sono governate le democrazie parlamentari in tutta Europa, con l’eccezione della Spagna dove peraltro spesso i partiti regionali forniscono i voti decisivi per la formazione delle maggioranze.
Ma l’Italicum è o non è un passo avanti, secondo lei?
L’Italicum è un miglioramento rispetto al Porcellum, che era pessimo. Migliorare il pessimo, e lasciare alcuni elementi che sono fortemente criticabili, non rappresenta però certo un grande passo in avanti. Finché rimarranno i capilista bloccati, la possibilità di candidature multiple fino a otto collegi, e nessuna percentuale minima per passare al ballottaggio, restano dei problemi aperti.
Nel Pd sarà scissione o la minoranza sarà fatta fuori?
Escludo una scissione, è probabile che ad andarsene saranno quattro o cinque parlamentari. La scissione sarebbe un suicidio per chi se ne va, ma al tempo stesso non migliorerebbe la qualità per quanti rimangono. Più che altro la minoranza dovrebbe prendere atto del fatto che nel momento della definizione dei capilista, Renzi procederà in modo brutale come è avvenuto tutte le volte in cui ha avuto la possibilità di farlo. A parte Bersani, tutti gli altri componenti della minoranza rischiano moltissimo.
Condivide i giudizi negativi sulla riforma della Rai?
Nel momento in cui è il governo che designa l’amministratore delegato unico, siamo di fronte a una sorta non dico di partitismo ma di politicizzazione della tv pubblica. Capisco che essendo ignoranti di quanto avviene altrove, i nostri politici non abbiano avuto voglia di studiarsi come funziona la governance della Bbc. Era quello il modello che bisognava imitare. Invece andrà a finire che Renzi designerà un suo amico al vertice della Rai, e ciò rappresenta una ferita al pluralismo.
Al centro dell’ultimo Consiglio dei ministri c’è stata la giustizia. Lei come valuta quanto è stato deciso?
Dovrebbe essere chiaro a tutti che le intercettazioni sono un elemento fondamentale delle indagini giudiziarie. Occorre quindi una chiara distinzione tra le intercettazioni, che devono essere consentite al massimo grado, e la loro pubblicazione che invece deve riguardare soltanto gli elementi giuridicamente importanti e mai le conversazioni private di persone. Occorrono quindi indicazioni molto stringenti per i giornali, che non devono buttare in pasto particolari della vita privata, ma devono poter avere accesso a tutto ciò che riguarda le indagini.
Si dice che Renzi sia il continuatore del berlusconismo, ma anche di Craxi, Fanfani e dello stesso Mussolini. Come si colloca l’attuale premier nell’albero genealogico dei governi della storia italiana?
Renzi si colloca come l’ultimo arrivato, che pur essendo in carica da un anno e qualche mese spera di durare ancora per molto tempo. I paragoni che si fanno sono tutti fuorvianti e in qualche caso persino sbagliati. Renzi non ha nulla a che vedere con Mussolini, perché l’Italia contemporanea è una democrazia, mentre il Duce era il leader di un regime autoritario. Renzi ha poco a che vedere con Craxi, anche se è vero che quest’ultimo era un decisionista e Renzi cerca di mostrare di esserlo anche lui. Craxi però era il leader di un partito del 10-12%, mentre Renzi è il segretario del partito con il maggior numero di seggi in Parlamento. Renzi ha poco a vedere anche con Berlusconi, perché il primo ha conquistato un partito che esiste, mentre il secondo ha fondato un partito che non esiste. Berlusconi lo fonda, lo finanzia e lo controlla, Renzi al contrario si è conquistata la leadership e quindi è diverso anche dal numero uno di Forza Italia.
(Pietro Vernizzi)