“Spero che il rinvio sulla scuola segni un’inversione di tendenza rispetto a una prassi consolidata in base a cui si governa per decreti. Anche se l’ingorgo legislativo in Parlamento di fatto induce l’esecutivo a saltare a piè pari la strada maestra dei disegni di legge. Ciò a maggior ragione da parte di un premier decisionista come Renzi”. Ne è convinto Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, dopo che nel consiglio dei ministri di ieri sono state solo illustrate le linee guida degli interventi che il governo ha previsto per la scuola. L’esame del disegno di legge è stato rinviato a una data successiva (martedì prossimo, secondo il premier). Una scelta, quella di Renzi, che è stata giustificata dalla volontà di concedere al Parlamento più tempo per discutere la nuova norma.



Perché Renzi ha deciso di rinviare il decreto sulla scuola?

Spero che questo cambiamento non riguardi solo la scuola ma l’intera attività di governo da questo momento in poi. E’ pur vero d’altra parte che questo provvedimento cambia i suoi effetti se adottato attraverso un disegno di legge. Gli annunci del governo lasciavano immaginare che i precari sarebbero stati assunti entro l’inizio del prossimo anno scolastico. Ma è difficile che con l’approvazione del disegno di legge si possa fare in tempo. In questo caso quindi l’urgenza era forse più giustificata che in altri casi. In linea di massima il governo fa però benissimo a rendersi conto che non si può legiferare regolarmente e costantemente per decreto legge.



Potrebbero esserci anche problemi di coperture economiche? Renzi, in conferenza stampa, lo ha escluso…

Certo, però allibisco. Quando ha annunciato il provvedimento sui precari, il governo conosceva già i problemi di coperture economiche cui sarebbe andato incontro. Lo stesso governo del resto ci informa del fatto che i conti pubblici sono perfettamente sotto controllo, e che anzi ha ottenuto una prima flessibilità dall’Europa che gli consente di muoversi con maggiore tranquillità. Non c’è quindi niente di peggio che illudere gli elettori, promettendo cose che poi non si possono mantenere.



E’ stato Mattarella a dire no all’ennesimo decreto?

E’ possibile che sia in corso una moral suasion del Quirinale. Non dimentichiamoci che nel caso dei decreti è il presidente della Repubblica che firmando dà loro valore legale immediato. E’ una situazione rischiosa per il capo dello Stato, perché può trovarsi a firmare provvedimenti che poi il Parlamento non adotta. Oppure le Camere possono aggiungere altre parti che il presidente non conosceva al momento della firma.

Perché finora Renzi ha governato per decreti?

Da questo punto di vista c’è una difficoltà oggettiva. Siccome il Parlamento è intasato dall’attività di conversione dei decreti, finisce per essere molto lento nell’approvare i disegni di legge. E’ una sorta di circolo vizioso perché ciò induce necessariamente i governi a fare ancora più decreti legge. Questa necessità non toglie però il fatto che bisogna metterci un argine.

In che modo?

Ciò richiede al governo una capacità di programmazione maggiore dei lavori parlamentari. Nello stesso tempo è necessario che il Parlamento accetti il fatto che sia il governo a fissare l’agenda dei lavori e non i presidenti delle due Camere.

 

Secondo lei da questo momento il governo cambierà strada sui decreti?

Renzi non cambierà strada più di tanto, un po’ perché ci sono queste difficoltà oggettive, e un po’ perché i decreti soddisfano quei criteri di decisionismo cui l’attuale premier s’ispira molto.

 

Che cosa ne pensa dell’“appello dei 44” sulle scuole paritarie?

Sono anch’io tra i sottoscrittori dell’appello. Come ha detto anche l’ex ministro Luigi Berlinguer, la divisione ideologica tra scuola pubblica e privata non ha alcun senso. L’istruzione oggi è completamente pubblica, sia che riguardi le scuole comunali, come quelle legate a organizzazioni profit e non profit. Ciò che conta è che queste si inscrivano in un sistema pubblico e rispondano a criteri che sono fissati dallo Stato.

 

Qual è quindi il vero nodo da risolvere?

Il problema riguarda quei genitori che mandando i figli nelle scuole dove si paga una retta, sollevando quindi lo Stato dall’onere di educare i loro figli. Questi genitori si trovano di fronte alla singolare condizione di pagare sia le tasse per sostenere la scuola pubblica sia le rette dell’istituto che hanno scelto. Sarebbe necessario quindi introdurre un sistema di incentivi fiscali per chi ricorre a una scuola non statale, perché questo è un aiuto indiretto all’intero sistema scolastico.

 

Come valuta gli altri provvedimenti decisi dal Cdm come la banda larga?

Il mio auspicio è che il governo non esageri nel dirigismo economico. Il potere pubblico deve creare le condizioni migliori per la modernizzazione e la crescita, per esempio attraverso lo stimolo della banda larga. Non si deve però intervenire nel mercato obbligando gli operatori economici ad adeguarsi alle aspettative della politica. Per esempio l’idea di uno switch off che metta fuori corso l’intera rete in rame a vantaggio della banda ultralarga arrecherebbe un danno a un’impresa privata come Telecom. Quest’ultima di recente ha fatto investimenti partendo proprio dal presupposto di un’integrazione tra rame e fibra ottica.

 

(Pietro Vernizzi)