La vicenda della sostituzione dei dieci parlamentari del Pd che, in qualità di componenti della Commissione Affari costituzionale della Camera dei deputati, avevano manifestato una posizione critica nei confronti del disegno di legge sulla futura legge elettorale, non deve lasciare indifferenti. 

Pochi giorni fa un autorevole editorialista ha scritto che, di fronte alla debolezza che attanaglia partiti e istituzioni, è bastato un gruppo di giovani audaci per scalare rapidamente il Partito democratico e conquistare subito dopo Palazzo Chigi. Certo, potremmo aggiungere, l’esito sarebbe potuto mutare se si fossero mosse diversamente le forze dominanti nel sistema, a livello nazionale e internazionale. In ogni caso non vorremmo che qualcuno pensasse che, con le stesse sbrigative modalità, si possono travolgere i principi democratici che sono a base della nostra Repubblica.



Sia chiaro: sostituire i componenti di una Commissione parlamentare durante l’esame di un disegno di legge non è proibito dal regolamento parlamentare. È questa una facoltà disciplinata e dunque consentita a ciascun gruppo. Ciò che deve far riflettere è l’uso che si è fatto di tale facoltà, alterandone finalità e scopi, e pertanto andando ben al di là di quanto consentito. Si  potrebbe anche dire, richiamando un istituto giuridico ormai positivizzato, che si sia trattato di un “abuso di diritto”. L’intento della norma del regolamento, infatti, è chiaro: sostituire i componenti di una  Commissione con altri provenienti dal medesimo gruppo parlamentare, è funzionale al mantenimento delle medesime proporzioni tra i gruppi in coerenza con quanto prescritto dalla Costituzione, allorché venga meno, anche soltanto per ragioni di opportunità politica, la presenza di singoli componenti della Commissione. 



Ma quando la sostituzione si trasforma nella rimozione sistematica di tutti i componenti di un gruppo che si siano manifestamente pronunciati in senso contrario ad un dato progetto di legge, mediante il legittimo esercizio dei poteri loro riconosciuti nel procedimento legislativo, ad esempio presentando emendamenti modificativi del testo legislativo; quando la sostituzione viene ufficialmente e pubblicamente decisa dall’organo direttivo del partito cui accede la presidenza (per di più vicaria, a causa delle dimissioni rassegnate dal capogruppo) del gruppo; quando, cioè, la sostituzione si fa direttamente strumentale rispetto al complessivo mutamento della linea politica non solo all’interno dei parlamentari del medesimo gruppo, ma anche della volontà conclusivamente maggioritaria nella Commissione, è evidente che è la stessa composizione della Commissione ad essere strutturalmente alterata.



Si dirà ed è stato detto: è la maggioranza del partito, rappresentata dalle decisioni assunte dagli organi direttivi, cui spetta determinare la linea politica del partito medesimo. Ciò è senz’altro vero, ma non può comportare, a pena di violare la Costituzione, che sia la medesima maggioranza del partito — per il tramite dei rispettivi organi direttivi — a determinare in modo coattivo la volontà complessivamente espressa in Parlamento dai rispettivi gruppi parlamentari e, conseguentemente, ad imporre al Parlamento stesso la loro volontà. 

Se così fosse, vorrebbe dire che nulla conta il principio costituzionale del divieto di mandato imperativo, scritto in Costituzione proprio per evitare che gli organi dirigenti dei partiti prevalgano in modo arbitrariamente coattivo sulla libera espressione della volontà dei rappresentanti che i cittadini selezionano mediante le elezioni. 

Ancora, si obietterà: basta con questi desueti principi del parlamentarismo; evviva la decisione assunta dagli organi direttivi del partito! In realtà, a dispetto del silenzio imbarazzante di chi avrebbe il dovere di intervenire per difendere le prerogative parlamentari, può ben dirsi che qui è in gioco un principio fondamentale per la democrazia. Alcuni popoli a noi vicini hanno già sperimentato cosa significa rinnegare la democrazia fondata sulla rappresentanza ed avere parlamenti di pura facciata: gli esiti sono stati a dir poco disastrosi per le libertà individuali e collettive. 

Anche da noi il problema può assumere connotazioni simili anche a causa di una grave omissione cui non si riesce a porre rimedio: nessuno, a dispetto di quanto prescritto dalla Costituzione e in assenza di opportune norme attuative di legge, controlla la democraticità dei partiti. Mancano cioè garanzie sufficienti sulla legittimazione democratica degli organi direttivi dei partiti e movimenti politici. Come noto, è assai probabile che, subito dopo l’eventuale approvazione dell’Italicum, la Corte costituzionale sia investita del sindacato di costituzionalità sulla nuova elettorale, che per vari aspetti solleva dubbi di un qualche rilievo. Non può escludersi che tra i rilievi sollevati si collochi anche il profilo qui in esame. Un motivo in più per avere meno audacia e più attenzione alla Costituzione.