Caro direttore,
Matteo “cuor di leone” questa volta non ha ruggito. E questo silenzio, abituati a proclami e promesse, un poco ci ha spiazzato. Poi lo sconcerto si è approfondito fino a farci pensare: Matteo si è smaterializzato. 

No! Infatti Matteo ha proseguito a vaticinare su molte cose, dall’Expo alle tragedie del Canale di Sicilia alla bontà assoluta della nuova legge elettorale, e opporsi in Parlamento pare sia vilipendio della democrazia, alla profonda utilità del “divorzio breve” (ma forse sarebbe più opportuno definirlo “matrimonio breve”: il divorzio è un atto che si compie ed è tutto finito, è il matrimonio che è un patto che dovrebbe durare. Misteri della neolingua italica).



Il silenzio assordante di Matteo Renzi riguarda l’Armenia, meglio il popolo armeno. E perdura da domenica 12 aprile. Certo l’argomento è scottante, la Turchia è partner commerciale non secondario e Erdogan lancia minacce perfino al Papa. A proposito, certe esternazioni turche potrebbero richiamare alle mente il mitico “Quante divisioni ha il Papa” attribuito al Piccolo Padre Stalin.



Ma tornando a noi, dopo quasi due anni di ruggiti e proclami un poco di coraggio ce lo saremmo aspettati, anche se rimanendo nel campo della politica estera e della diplomazia la vicenda dei marò non poteva certo dare spazio a grandi aspettative. Ciò non toglie che questo silenzio, di tutto il governo invero, lascia molto amaro e pare aprire scenari non certo brillanti. 

Non vorremmo che a Matteo “cuor di leone” venisse una crisi di egocentrismo e pensasse, prendendo a modello Camillo Benso conte di Cavour, di inviare i bersaglieri a riconquistare per il califfo di Istambul la Crimea, togliendo spazi marittimi ai putiniani russi. Allora riportarono in Italia, oltre ad una costosa alleanza coll’imperatore di Francia, il colera. Ma oggi? Risposte molte e tutte facili apparentemente.



Eppure, anche all’origine di quella guerra c’era la protezione dell’impero russo verso i cristiani di rito orientale presenti sul territorio del califfato ottomano. 

Ma tranquilli, ora secondo noi sta solo progettando di rendere omaggio alla Turchia recandosi in pompa magna alla celebrazione “farlocca” della battaglia di Gelibolu (Gallipoli ma non quella salentina, l’altra, quella sullo stretto dei Dardanelli). Dicevamo farlocca non perché la battaglia non ci fu (un disastro per australiani e neozelandesi e le potenze occidentali) ma perché non avvenne il 24 aprile. Perché ricordarla ufficialmente il 24 aprile e invitare i capi di Stato di mezzo mondo? 

La notte del 24 aprile 1915 fu l’inizio della strage degli armeni. A migliaia quella notte vennero prelevati nelle loro case di Istambul e giustiziati. Poi la persecuzione si estese nel resto del Paese.

E il 24 aprile 2015 la repubblica di Armenia ha indetto una manifestazione in ricordo del morti sulle collina sopra Yerevan, dove sorge il monumento in memoria del genocidio con vista all’orizzonte della cima dell’Ararat simbolo di tutti gli armeni. Ma per loro irraggiungibile, perché in territorio turco e la frontiera è ovviamente chiusa.

Chi rappresenterà l’Italia a quella cerimonia? Nessuno? Il nostro ambasciatore? O invieremo una commissione parlamentare abbastanza anonima? 

PS. La Prussia di Bismarck non prese parte alla guerra di Crimea e ieri Angela Merkel, cancelliere della Repubblica Federale di Germania nazione nella quale la presenza di immigrati turchi è tutt’altro che irrilevante, in una telefonata al premier turco Ahmet Davutoglu ha affermato che la Germania riconosce che il massacro del popolo armeno di un secolo fa è stato genocidio. Questa volta non andiamo a rimorchio del cancellierato di ferro?