O passa la legge elettorale o cade il governo, ha avvertito Renzi venerdì, confermando di voler alzare al massimo la posta proprio mentre l’Italicum si appresta ad affrontare l’esame dell’aula alla Camera. Maurizio Lupi, capogruppo di Ncd alla Camera dopo le dimissioni da ministro dei Trasporti, conferma l’invito ai gruppi di non richiedere il voto segreto. Anche per evitare la fiducia. Per l’esponente di Ncd l’Italicum è una buona legge, e non approvarla sarebbe un danno per il paese.



Lupi, andare avanti sull’Italicum a maggioranza così stretta, come intende fare Renzi, non è un errore?
Fermarsi a un passo dal traguardo sarebbe assolutamente da irresponsabili. So che ogni legge è migliorabile, ma so anche che il meglio è nemico del bene. Questa legge al Senato è già stata notevolmente migliorata rispetto alla versione della Camera e votata — ricordo a chi adesso ha cambiato idea — da una grandissima maggioranza. Un altro rinvio al Senato darebbe la sensazione di istituzioni incapaci di decidere per le riforme. Il danno non sarebbe per questo o quel partito pur grande anche se diviso, ma per il paese.



A proposito dell’Italicum lei ha detto: no alla fiducia, no al voto segreto, perché occorre misurare la forza del governo. Renzi va avanti contro tutto e tutti: più forte di così. O lei ha il dubbio che questa forza non ci sia?
Se non si approva la legge elettorale, che è la prima riforma su cui ha puntato questo governo, vuol dire che c’è qualche problema. Allora vediamo se la maggioranza del Parlamento vuole davvero questa riforma. Come Area Popolare abbiamo fatto un appello a tutti i gruppi parlamentari perché rinuncino alla richiesta del voto segreto: il dibattito e il voto su come si esprime la volontà popolare va fatto alla luce del sole, già nel ’93 — Giorgio Napolitano presidente della Camera e Sergio Mattarella relatore — i deputati deciso di rinunciarvi. Per gli stessi motivi penso che vada evitato il ricorso alla fiducia e per evitarlo la rinuncia al voto segreto mi sembra un buon argomento.



Non bisognerebbe forse misurare la forza di Ncd, che appare sempre più come subordinata al Pd
Quando si governa insieme non si passa il tempo a distinguersi. Dobbiamo smetterla di fare il tifo perché le cose vadano male. Se c’è una cosa che abbiamo imparato in questi due anni è che abbiamo bisogno di lavorare perché le cose cambino concretamente senza stare a calcolare chi è principale e chi subordinato. Potrei elencare tutti i provvedimenti, dal Jobs Act all’Irap sul costo del lavoro, allo Sblocca Italia, alla mancata proroga degli sfratti, alla stessa legge elettorale, alla riforma sulla Buona Scuola, al bonus sui figli, alla responsabilità civile dei magistrati, in cui il Pd aveva un disegno che è stato cambiato e migliorato proprio grazie alla nostra azione. Credo di avere dalla mia la testimonianza di discussioni pubbliche e private nonché di decisioni che ci permettono di dire che non siamo lo zerbino di nessuno. Quanto a misurare la forza di Ncd, ci penseranno come sempre gli elettori già alle prossime regionali.

Ma a distanza di un paio di mesi dalla vicenda che l’ha vista costretta a dimettersi, Ncd non ha perso peso nel governo? 

E’ singolare che chi ha passato due anni ad attaccarci definendoci poltronisti, adesso si chieda perché non rivendichiamo con forza ogni giorno la poltrona che ci manca. Ho sempre pensato che per fare politica non serve una poltrona da ministro, e credo di averlo dimostrato. Ora ritengo che il nostro contributo alla compagine governativa debba avere come criterio il rafforzamento dell’azione del governo e come giudizio l’esito sulle sue azioni. Non ci sono quindi né automatismi né fretta. E’ un governo di coalizione, Renzi ne è ben cosciente e sa molto bene che essere un uomo solo al comando non ha mai portato fortuna ad alcuno. 

Lei, per sua cultura politica, non è a favore di un sistema che dia libertà di scelta all’elettore? Come fa a dire sì a una legge elettorale dove le liste sono bloccate e i rappresentanti sono scelti dai partiti?
Mi spiace che siate disinformati. La legge che era uscita dalla Camera prevedeva liste bloccate volute fortemente dall’esito di un un accordo tra Pd e Forza Italia. Grazie alla nostra battaglia al Senato oggi non ci sono liste bloccate, ma solo i capilista, peraltro indicati sulla scheda e quindi ben identificabili rispetto al sistema precedente, e ci sarà finalmente la possibilità di esprime due preferenze. Inoltre i collegi sono aumentati rispetto al Porcellum, per esempio in Lombardia erano 3, adesso sono 17. A questo punto più del 50 per cento dei parlamentari sarà eletto con le preferenze.

L’Italicum di fatto dice no all’apparentamento al ballottaggio: è d’accordo anche su questo?
Chiariamo una cosa, le leggi elettorali sono strumenti, sempre migliorabili, per rappresentare la volontà popolare e assicurare la governabilità. Non si sostituiscono al consenso, o i cittadini ti votano oppure non c’è legge che lo faccia per loro. Una cosa in ogni caso è certa, con l’Italicum, come nelle più grandi democrazie europee, il giorno dopo le elezioni si saprà con certezza chi avrà vinto e governerà il paese e a chi sarà dato il compito di fare l’opposizione. Il diritto di rappresentanza è garantito con la soglia abbassata al 3 per cento.

Siete nati per assicurare la governabilità,  l’Italicum non sarebbe l’occasione per tornare a dialogare con le altre forze della vecchia area di centrodestra, in primis FI e altri?
Le rispondo con un fatto concreto, che vale più di tante intenzioni. Di recente a Milano ho organizzato un convegno articolato in due momenti. Nel primo noi politici abbiamo ascoltato le forze vive della città: docenti universitari, imprenditori, commercianti, società civile, banchieri, giornalisti… Nel secondo ci siamo confrontati tra politici per iniziare il percorso di un manifesto per Milano 2016; c’erano la Gelmini, Maroni, Albertini, Formigoni ed io. Io ho proposto, almeno a Milano, un anno di tregua nel centrodestra. Siamo in mezzo alle macerie e serve una zona franca in cui persone che si stimano e che condividono ideali e valori ricomincino a dialogare fra loro. L’evento di sabato scorso mi è sembrato un bell’esempio di nuovo inizio di dialogo.

Ma il centrodestra unitario è definitivamente morto? Chi lo ha ucciso? Berlusconi? O chi altri?

Intanto è utile una domanda: oggi ha ancora senso parlare in modo tradizionale di centrodestra e centrosinistra? La politica nella sua autoreferenzialità rischia di essere, come ultimamente spesso succede, lontana dalla realtà e di ragionare con schemi vecchi che appartengono al passato. Noi vogliamo costruire un’alternativa alla proposta di centrosinistra di Renzi a Milano e in Italia, ma dobbiamo avere il coraggio di rifiutare le facili derive populistiche, gli estremismi che fanno titolo sui giornali e coagulano gli scontenti ma non costruiscono una forza di governo credibile, come dimostra il caso Le Pen in Francia. Certi trionfalismi per le crescite nei sondaggi mi ricordano la telefonata di Pajetta a Togliatti dopo che i partigiani occuparono la prefettura di Milano il 25 aprile del ’45: “Compagno Togliatti, abbiamo occupato la prefettura!”. Raggelante, ma realista, la risposta: “Sì, e ora che ve ne fate?”.

Se non superaste lo sbarramento, vi ripresentereste con il Pd di Renzi?
Ipotesi dell’irrealtà. Anche perché lo sbarramento lo supereremo tranquillamente, come successo già alle europee dello scorso anno. E, glielo ridico, il compito che ci sentiamo è quello di dare la possibilità agli italiani di scegliere tra la sinistra di Renzi e una proposta liberale, riformista, sussidiaria, cattolica. Dobbiamo combattere la tentazione, che vedo affascinare molti a sinistra, di mettere i cittadini davanti alla scelta tra Renzi e i populismi.

Lei a Milano è una figura politica autorevole, è stato nelle giunte che l’hanno governata per anni. Salvini sarebbe un buon sindaco?
A Milano ripartiamo dalla società, da proposte che diano spazio e parola a ciò che a Milano c’è di più vivo. Il candidato, chiunque esso sia, sarà la scelta conseguente di questa proposta. Da parte mia nessuna preclusione, certo è che estremismi e demagogie non appartengono alla cultura della nostra città.

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