A Palazzo Chigi l’allarme rosso si è acceso dopo l’affondo di Enrico Letta. Un siluro imprevisto e inatteso, arrivato dopo un anno di silenzio praticamente assoluto. Letta dopo Prodi, e con un elemento comune, la portata internazionale delle critiche. E’ come se dopo 400 giorni la stella di Renzi si stesse appannando sul piano estero. E a confermare il sospetto il vertice straordinario europeo sull’immigrazione e la vicenda dell’uccisione dell’ostaggio italiano in Pakistan, Giovanni Lo Porto.
Sul proscenio internazionale per tutto il primo anno della sua permanenza a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio si è mosso con forza e consenso. Ha cercato di trasmettere l’immagine di un paese intenzionato a voltare pagina rispetto agli anni del berlusconismo, un partner affidabile che ha imboccato la via di quelle riforme strutturali che l’esperienza della crisi economica e del governo Monti avevano messo in cantiere. Un’Italia davvero diversa, dove lui stesso simboleggiava il cambio anche generazionale.
L’operazione era riuscita piuttosto bene, ed aveva avuto la sua sanzione nel voto delle elezioni europee del maggio scorso, che avevano incoronato il Partito democratico come partito più votato del continente. Non che si sia trattato di una strada in discesa, perché il confronto intorno all’allentamento delle regole del rigore è stato durissimo, non solo con il governo tedesco dell’arcigna Merkel, ma anche con gli altri partner del Nord. Se non ci fosse stata la sponda di Draghi alla Banca centrale europea, con l’invenzione del Quantitative Easing e il deprezzamento pilotato dell’euro il carniere di Renzi sarebbe stato ancora più vuoto.
Da qualche settimana, però, c’è l’impressione che il clima sul piano internazionale sia cambiato. Il vertice sull’immigrazione è stato ottenuto sull’onda dell’emozione seguita alla tragedia degli 800 e più morti nel Mediterraneo, ma ha ottenuto risultati modesti, di sicuro inferiori alle attese del governo. Di fatto, pur aumentando le risorse economiche per Triton, non si sono registrati passi avanti significativi sul punto più delicato, cioè l’accoglienza dei rifugiati. Il più drastico è stato l’inglese Cameron: navi per pattugliare il Canale di Sicilia sì, profughi in terra britannica no. Se qualche paese sarà meno rigido, lo farà esclusivamente su base volontaria. E di rinegoziare il regolamento di Dublino del 2003, quello che prevede che il richiedente asilo debba fermarsi nel paese in cui presenta la domanda, non se ne parla proprio.
Forse per Renzi la più amara delle sorprese è venuta da Barack Obama. Delle due l’una: o quando è stato ricevuto con cordialità estrema alla Casa Bianca è stato tenuto all’oscuro della tragica morte del cooperante italiano durante il raid americano di gennaio, oppure è stato informato, ma vincolato al silenzio di fronte a una tempistica relativa all’annuncio in cui non ha avuto voce in capitolo.
Se si mettono questi due segnali insieme al ritorno sulla scena di Letta, alle critiche a una leadership troppo forte e alle riforme fatte a colpi di maggioranza e di fiducia, ce n’è a sufficienza per guardare con diffidenza al futuro. Letta ha in comune con Prodi buone entrature internazionali, tant’è vero che andrà a insegnare a Parigi. E le sue punzecchiature a Renzi si sono concretizzate anche in interviste al vetriolo sul Financial Timese sul francese Les Echos. Di sicuro il premier ha avuto la conferma di aver scelto bene quando ha deciso di mandare in Europa la Mogherini al posto del suo predecessore.
Quanto al fondatore dell’Ulivo, le sue relazioni spaziano dagli Stati Uniti alla Cina, passando per Bruxelles. E il suo preferire il “modello Letta” rispetto a quello del “giglio magico” fiorentino che alberga a Palazzo Chigi può instillare il germe del dubbio in più di un interlocutore straniero, che potrebbe cominciare a vedere in Renzi un leader non più così forte come sin qui sembrava. Del resto Prodi è stato davvero impietoso nel descrivere il nostro sistema democratico come colpito da una grave anomalia, con tre presidenti del Consiglio non eletti dal popolo. A leggerlo si rischia di confondersi con gli argomenti di Berlusconi.
Di fronte a questi segnali Renzi ha drizzato le antenne, ma non mostra eccessiva preoccupazione. Sospetta che Letta possa cercare una rivincita partendo da sponde internazionali e che Prodi possa dargli una mano. E nel suo entourage si ragiona anche sul fatto che Bersani stia cercando di ricompattare la minoranza per offrirla al suo ex delfino come rampa di lancio. Ma il congresso del Pd è fissato per il 2017, troppo lontano per partire oggi. E scarse possibilità vengono assegnate anche all’ipotesi di una crisi di governo sull’Italicum che rimetterebbe proprio Letta in pista, anche perchè servirebbero i voti di Forza Italia e una contraddizione evidente con gli anatemi a suo tempo lanciati contro il patto del Nazareno.
Restano comunque le difficoltà sul piano internazionale. Su quelle Renzi sa che il tempo dei sorrisi è finito.