Superato il primo scoglio delle pregiudiziali di costituzionalità, l’Italicum si appresta ad affrontare una nuova ondata di polemiche sollevata dalla decisione del governo di porre la questione di fiducia sulla legge elettorale. “La Camera ha il diritto di mandarmi a casa, se vuole: la fiducia serve a questo. Finché sto qui, provo a cambiare l’Italia”, ha scritto su Twitter Matteo Renzi che adesso dovrà vedersela con la durissima reazione delle opposizioni e della minoranza interna al Partito Democratico. Il motivo della polemica in atto deriva in particolare dal carattere ultramaggioritario del provvedimento predisposto dall’esecutivo. L’Italicum, infatti, prevede un ampio premio di maggioranza che andrebbe a premiare la lista vincente, ovvero 340 seggi su 617 (dal calcolo verrebbero esclusi Val d’Aosta e provonce di Trento e Bolzano), il 55% del totale della Camera dei Deputati. La vittoria potrebbe essere riportata in due casi: se al primo turno una delle liste raggiungesse il 40% dei voti, oppure con una affermazione nel ballottaggio che si avrebbe tra le due liste più votate.
Proprio il premio di lista è stato uno dei temi più controversi, in quanto nei casi precedenti esso veniva assegnato a livello di coalizione. Le modifiche di cui è stata oggetto la legge nel corso dei passaggi parlamentari che si sono svolti sinora, ha anche determinato la fine della collaborazione tra il Partito Democratico e Forza Italia, con il partito di Berlusconi ora pronto a denunciare quello che lo stesso ex Premier indica come un atteggiamento bulimico da parte di Matteo Renzi, derivante dall’evidente intento di accumulare il maggior potere possibile.
Le accuse fatte all’Italicum sono relative proprio all’evidente voglia di affidare tutto il potere alla lista vincente, che secondo i critici caratterizzerebbe la nuova legge elettorale. Una caratteristica che andrebbe con tutta evidenza a stravolgere il sistema democratico, eliminando qualsiasi possibilità per le forze di opposizione di far sentire la propria voce. Una legge reputata pericolosa da molti costituzionalisti proprio in considerazione della particolare storia del nostro paese, arrivato alla democrazia dopo un ventennio di dittatura fascista il quale non a caso viene spesso richiamato nel corso della polemica in atto. Il riferimento più immediato è proprio a quella Legge Acerbo che fece da grimaldello per avviare la lunga dittatura di Benito Mussolini, terminata solo con la terribile sconfitta militare dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale. Approvata il 18 novembre del 1923, con il numero 2444, questa legge elettorale prevedeva il superamento del sistema proporzionale che caratterizzava il sistema politico sorto nel primo dopoguerra. In pratica, il partito più votato che avesse superato la soglia del 25%, avrebbe goduto di una larghissima maggioranza parlamentare, ovvero i due terzi del totale.
Nel corso della discussione parlamentare, all’interno di una commissione presieduta da Enrico De Nicola, il Partito Popolare cercò più volte di mitigarne gli effetti, proponendo di abbassare il premio di maggioranza ai tre quinti, oppure di alzare la soglia per ottenerlo al 40%. Un tentativo inutile, come quello operato in aula, quando il voto congiunto di fascisti, buona parte dei popolari, liberali e destra, rese possibile lo stravolgimento del sistema elettorale, ponendo le basi per la successiva dittatura. Le successive elezioni politiche del 6 aprile 1924, contrassegnate da una lunga serie di violenze da parte delle squadracce nere, videro il Partito Nazional Fascista di Mussolini ottenere il 60% dei voti, andando addirittura a limare la rappresentanza delle opposizioni con la presentazione di una lista civetta, in alcune regioni. Voti ottenuti in grande maggioranza nella parte inferiore della penisola, se si pensa che al Nord il listone fascista ebbe meno voti delle opposizioni di Sinistra e Centro.
L’altro riferimento che continua ad essere additato con evidente intento polemico dagli oppositori dell’Italicum è la celeberrima “legge truffa”, ovvero il provvedimento promulgato nel marzo del 1953 per correggere il carattere proporzionale di quella che aveva portato alla formazione del Parlamento nelle prime tornate elettorali dopo il ritorno della democrazia. A dargli la definizione che è ancora famosa, sembra sia stato Pietro Calamandrei, come sostenuto dal professore Andrea Pertici nel corso di un seminario svoltosi a Pisa nel 2009.
L’avvento della “legge truffa” fu caratterizzato da una discussione estremamente accesa, nella quale si caratterizzarono per vis polemica gli esponenti del Partito Comunista. Proposta da Mario Scelba, Ministro dell’Interno nel governo presieduto da Alcide De Gasperi, la legge fu approvata in maniera molto forzata con un voto che ebbe luogo nel corso di una seduta convocata dal Presidente del Senato, Meuccio Ruini, approfittando della sospensione in occasione della domenica delle palme. Lo stesso Ruini, aveva preso il posto di Paratore e Gasparotto, i predecessori, i quali si erano dimessi quando avevano capito che la Democrazia Cristiana voleva affrettare la discussione per poter affrontare le elezioni previste di lì a poco con la nuova legge.
La legge, aspramente contestata da destra a sinistra, prevedeva che la lista o il gruppo di liste collegate che avessero raggiunto la metà più uno dei voti, sarebbe stata premiata da un premio del 65% dei seggi totali. Il premio, però, non sarebbe mai scattato, in quanto alle successive elezioni politiche, svolte nel 1953, la Democrazia Cristiana e i partiti che la appoggiarono (il Partito Socialdemocratico, il Partito Liberale, il Partito Repubblicano, il Partito Sardo d’Azione e la Sudtiroler Volkspaertei) si fermarono al 49,8%, fermandosi a circa 50mila voti dal traguardo. Rimase però sullo sfondo il sospetto da parte di molti che la Democrazia Cristiana avesse cercato di snaturare la sostanza proporzionale della democrazia sorta dalla fine del fascismo, inaugurando una stagione di tensioni che non si sarebbe dissolta neanche negli anni successivi. La stagione della “legge truffa” fu comunque molto breve, in quanto essa fu definitivamente abrogata nel luglio dell’anno seguente.