Bello e provocante l’articolo di Giorgio Vittadini (“L’io, i partiti e il gioco dell’oca”), che con acutezza denuncia l’eterno perpetuarsi della tendenza di ogni potere (e in questo Renzi non rappresenta certo una novità) a centralizzarsi e, quindi, ad allontanarsi dall’uomo concreto. Vorrei solo aggiungere una semplice osservazione a quanto scritto da Vittadini, perché mi sembra completare il suo ragionamento, laddove, andando fortunatamente contro il pensiero dominante di oggi, si riferisce a quell’elemento “dinamico” che si chiama io.



L’io che il potere, se non vuole essere prepotente, deve aiutare e rispettare non è un “io” solo, solo contro uno Stato centralista; è una persona che, in forza della sua natura trinitaria, non può non cercare unità, non può non essere insieme ai suoi fratelli uomini. Lo diceva il servo di Dio don Giussani in quello stesso memorabile discorso citato da Vittadini.



Vediamo cosa disse: “Una cultura della responsabilità non può non partire dal senso religioso. Tale partenza porta gli uomini a mettersi insieme. È impossibile che la partenza dal senso religioso non spinga gli uomini a mettersi insieme. E non nella provvisorietà di un tornaconto, ma sostanzialmente; a mettersi insieme nella società secondo una interezza e una libertà sorprendenti (la Chiesa ne è il caso più esemplare), così che l’insorgere di movimenti è segno di vivezza, di responsabilità e di cultura, che rendono dinamico tutto l’assetto sociale… È quindi nell’impegno con questo primato di libera e creativa socialità di fronte al potere, che si dimostra la forza e la durata della responsabilità personale”.



Il potere, tendenzialmente, stritola una persona sola (non a caso il potere del “pensiero unico” sta cercando di distruggere la famiglia), che normalmente rimane tale perché è scoraggiata e rassegnata. Un “io” vivo non può non creare unità e, con questo, spazi di libertà e di creatività. Allora, non possiamo limitarci a criticare il potere (nessun mestiere è più facile di quello degli indignati): dobbiamo, insieme, spronare ogni io a non dormire, a svegliarsi, a essere veramente se stesso, cioè ad essere fecondo, perché cosciente di non essere solo.

Anche la nostra Costituzione, una volta tanto, ci può aiutare in questa direzione. Infatti, l’articolo 2, come si sa (senza trarne le conseguenze), proclama che la Repubblica riconosce i diritti dell’uomo, “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Anche secondo la legge civile, allora, si può dire che si riconosce che ciascuna persona cresce attraverso una appartenenza, che lo fa essere più uomo, con più “personalità”.

Se non rimarrà solo, sarà più facile per l’io non essere costretto a ritornare “alla casella del via”, secondo la geniale immagine usata da Vittadini.