Non da oggi il Corriere della Sera è metafora vivente degli equilibri fra i poteri reali nel sistema-Paese, sul crinale fra politica e capitalismo nazionale. Neppure Benito Mussolini – leader dell’unico regime autoritario dell’Italia unita – rinunciò a marcare la sua ascesa definitiva con la rimozione di Luigi Albertini dalla proprietà-direzione di Via Solferino (era il 1925 e il Duce prima che un politico, era un giornalista-editore). Quasi mezzo secolo dopo, l’uscita di scena di Giovanni Spadolini e Indro Montanelli e la chiamata di Piero Ottone alla direzione segnarano la fine (temporanea) della lunga tradizionale laico-liberale della maggior testata nazionale. Anche per il Corriere iniziavano i turbinosi anni 70 e al termine del decennio il quotidiano si risvegliava molto bruscamente: gettato in quasi-bancarotta sia sul piano economico che politico-editoriale dall’infiltrazione della P2.

Il Corriere che rinasce dalle macerie piduiste – grazie a un’intesa fra Giovanni Bazoli, Gianni Agnelli ed Enrico Cuccia – è quello che ieri, in fondo, ha difeso la sua identità contemporanea essenzialmente con la doppia direzione di Ferruccio de Bortoli, conclusasi ieri. Non è un caso che De Bortoli, nel discorso di addio alla redazione, abbia citato l’ascendenza diretta verso Montanelli come espressione dell’indipendenza “orgogliosa” di Via Solferino. Il passaggio è suonato come un distinguo indiretto con Paolo Mieli, “dioscuro” di de Bortoli al vertice del Corriere nell’ultimo quarto di secolo: imposto però dalla Fiat di Agnelli e di Cesare Romiti dopo una significativa “svezzatura direzionale” alla Stampa torinese, molto caldeggiata da Bettino Craxi.

Il Corriere, la Fiat e i “poteri forti” di Roma: un singolare fil rouge sembra tessere la storia profonda del quotidiano fino al mezzo colpo di scena di ieri. Luciano Fontana era il candidato successore “di continuità”: condirettore del de Bortoli-2, era chiaramente la figura chiamata a parare il colpo delle “dimissioni a termine” strappate a de Bortoli lo scorso 31 luglio essenzialmente dalla Fiat. Ma proprio per questo era considerato fino all’ultimo uno “scudo umano”, contro attacchi che sono ripetutamente arrivati: l’ultimo, due giorni fa, con la candidatura del direttore del Tg1, Mario Orfeo, accreditata dalla Reuters che citava alcuni azionisti stabili della Rcs. Ben più consistente e prolungato era stato – prima – il tentativo di portare Mario Calabresi da Torino a Milano: un po’ sulle orme di Mieli (con la differenza che oggi il leader della “sinistra nazionale” è Matteo Renzi), un po’ sulla spinta industriale di ipotesi di aggregazione-ristrutturazione fra Rcs e il nuovo polo La Stampa-Il Secolo XIX.

La tradizione-Corriere – incarnata dal presidente di Intesa Sanpaolo, Bazoli, ha invece respinto le pressioni esterne fino in fondo. E non sembra estraneo, anzitutto, il pranzo di saluto-congedo offerto a de Bortoli mercoledì al Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: presente anche il predecessore Giorgio Napolitano (e idealmente anche Carlo Azeglio Ciampi, che designò quasi personalmente Stefano Folli come primo successore di de Bortoli, dimissionario nel 2003 per le forti tensioni con il centrodestra berlusconiano). 

In un’Italia in cui la pulsione rottamatoria renziana sembra non conoscere ostacoli – e godere anzi di forti appoggi più o meno taciti come quello della Fiat – la protezione istituzionale offerta dalla presidenza della Repubblica al Corriere della Sera “debortoliano” resta invece operante ed efficace. 

Questa sembra la notizia di una giornata aperta da un “saluto ai lettori” di de Bortoli inusualmente non pubblicato in prima pagina e particolarmente polemico contro il “caudillo Renzi”. E l’invito a Mattarella a non firmare l’Italicum assume un significato non trascurabile da parte di un direttore uscente che è risucito a tenere aperta la strada della successione al proprio braccio destro, contro tutte le candidature renziane.   

La “continuità debortoliana” al Corriere – assolutamente non scontata – sembra quindi – per l’ennesima volta – passaggio politico tout court: addirittura il momento costitutivo di una dialettica politico-finanziario-editoriale strutturata nei confronti del premier. Un punto di opposizione che riempie un vuoto: dal momento che non può essere certo un Berlusconi assorbito dalla parziale liquidazione delle sue attività d’impresa a intepretare il ruolo di anti-Renzi “da destra”, mentre Salvini non è andato finora oltre il fuoco d’artificio (e una possibile sconfitta in Veneto sarebbe già fatale). A sinistra il fronte degli ex leader (Romano Prodi, Pierluigi Bersani, Enrico Letta fino a Massimo D’Alema) è soprattutto un momento di opinione extra-parlamentare: ma è appunto un Corriere definitivamente re-identificatosi che può offrire loro più di una vetrina, laddove il “big competitor” Repubblica appare parecchio schiacciato su una linea filo-governativa/filo-Pd che – l’altroieri – è sembrato preoccupare lo stesso direttore Ezio Mauro.