«Una comunità cristiana autentica vive in costante rapporto con il resto degli uomini, di cui condivide totalmente i bisogni, e insieme coi quali sente i problemi. Per la profonda esperienza fraterna che in essa si sviluppa, la comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea e un suo metodo d’affronto dei problemi comuni, sia pratici che teorici, da offrire come sua specifica collaborazione a tutto il resto della società in cui è situata» (don Giussani).



Le prossime Elezioni amministrative per il rinnovo di 7 Consigli regionali e oltre 1.000 Consigli comunali offrono l’occasione per un dialogo su questioni che riteniamo decisive per tutti, non solo per chi andrà a votare.

È molto probabile che la scarsa considerazione in cui è tenuta la politica porti a votare alle prossime amministrative una percentuale bassissima di elettori, quasi da elezioni americane. Eppure anche questa realtà negativa può essere d’aiuto se sprona a un cambiamento quanto mai necessario



La forza dell’Italia rispetto ad altri era il fatto di essere il Paese dei cento campanili, di una miriade di municipalità capaci di essere vicine al cittadino, di non farlo sentire periferia di un lontano potere centrale che lo opprimeva imponendogli balzelli senza dare nulla in cambio. Purtroppo è sotto gli occhi di tutti che la crisi della politica ha toccato il suo apice proprio nelle amministrazioni locali: scandali, sprechi, continui contrasti di tipo clientelare, incapacità a governare in modo efficiente.

Quello che ha determinato la crisi della Prima Repubblica e l’incapacità della Seconda di risolvere i problemi non è solo il fallimento di un progetto politico, ma soprattutto e prima ancora il crollo di una tensione ideale, il venir meno di una continua ricerca ed educazione, di un’azione che pescasse le sue motivazioni nella coscienza profonda della persona, e non in meccanismi pragmatici e di utilità immediata. L’impegno politico si è quasi del tutto svincolato da quel percorso educativo che ogni uomo deve fare per non privare la sua azione di ragioni adeguate. Così, il venire meno di una esperienza integrale della persona ha svuotato dall’interno le grandi esperienze popolari, un tempo protagoniste della vita sociale e anche della politica italiana.



Per questo affidare la soluzione a riforme organizzative, pur utili, è insufficiente perché significa non andare alla radice del problema. Occorre un cambio di passo molto più radicale, che faccia saltare il pendolo della politica e dell’antipolitica, rimettendo a tema il significato dell’azione pubblica e superando due rischi contrapposti. Da una parte, la politica può corrispondere al suo scopo solo se non pretende di essere “salvifica”. Dall’altra parte, i politici devono riprendere coscienza di essere strumento per aiutare i singoli e le realtà sociali a costruire risposte adeguate ai loro bisogni e problemi reali. In positivo, ciò significa non ritenere un semplice enunciato astratto e ricominciare a perseguire nei fatti il bene comune: il bene tuo, il bene nostro, il bene di ognuno. 

Occorre domandarsi e declinare concretamente che cosa vuol dire oggi “servire il popolo” a partire da una spinta ideale, secondo un’esigenza che dopo il crollo delle ideologie nasce dal profondo del cuore di chiunque conservi anche un minimo di interesse per la propria vita e per quella delle persone che gli sono care.

Recentemente, papa Francesco ha ricordato che cosa significa fare politica per un cattolico, ma indicando una strada per chiunque: «Paolo VI ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune, pensando le strade più utili per questo, i mezzi più utili. Cercare il bene comune lavorando nelle piccole cose, piccoline, da poco… ma si fa. Fare politica è importante: la piccola politica e la grande politica. Nella Chiesa ci sono tanti cattolici che hanno fatto una politica non sporca, buona; anche che hanno favorito la pace tra le Nazioni. Pensate ai cattolici qui, in Italia, del dopoguerra: pensate a De Gasperi. Pensate alla Francia: Schuman, che ha la causa di beatificazione. Si può diventare santo facendo politica. E non voglio nominarne più: valgono due esempi, di quelli che vogliono andare avanti nel bene comune. Fare politica è davvero un lavoro martiriale, perché bisogna andare tutto il giorno con quell’ideale, tutti i giorni, con quell’ideale di costruire il bene comune. E anche portare la croce di tanti fallimenti, e anche portare la croce di tanti peccati. Perché nel mondo è difficile fare il bene in mezzo alla società senza sporcarsi un poco le mani o il cuore; ma per questo vai a chiedere perdono, chiedi perdono e continua a farlo. Ma che questo non ti scoraggi» (30 aprile 2015).

 

Da questo punto di vista, paradossalmente, proprio il livello locale può rappresentare il punto di ripresa di una politica che superi gli schemi consueti in favore di una rinnovata ricerca del bene comune. Non per niente Sturzo ripartì dalle amministrazioni locali con la sua proposta politica popolare e molti dei nostri politici più validi fin dal dopoguerra sono cresciuti dal basso – provenendo da associazioni, parrocchie, movimenti, sindacati di fabbrica – e sono stati prima amministratori locali e poi parlamentari; erano persone profondamente immerse nella realtà popolare, in cui hanno imparato a rispondere a bisogni collettivi e concreti. Le Elezioni locali possono essere un banco di prova per far ripartire la politica dal basso e per coinvolgere di nuovo il popolo intorno ad essa.

Si può ricominciare a capire, in modo silenziosamente “rivoluzionario” rispetto al dopoguerra e alla Seconda repubblica, che la politica non è innanzitutto gestione del potere per il potere, ma che la politica è un servizio che puoi compiere anche quando si ha ben poco “potere”, anche trovandosi all’opposizione o amministrando dagli scranni della maggioranza senza tornaconti personali, in una rinnovata responsabilità verso i bisogni della gente.

 

Come dicevamo un anno fa in occasione delle Elezioni europee, il punto di partenza è il riconoscimento del valore irriducibile della persona, ormai dato troppo per scontato quando addirittura non viene negato in nome di una qualche ideologia: occorre riscoprire che l’altro è un bene, e non un ostacolo da superare, per la pienezza del nostro io, tanto in politica quanto nei rapporti umani e sociali. Per questo «ciascuno metta a disposizione di tutti la sua visione e il suo modo di vivere. Questa condivisione ci farà incontrare a partire dall’esperienza reale di ciascuno e non da stereotipi ideologici che rendono impossibile il dialogo» (Julián Carrón, Corriere della Sera, 13 febbraio 2015). 

Perciò c’è bisogno di nuovi soggetti capaci di esprimere una coscienza adeguata dell’umano, di ciò che è essenziale alla realizzazione dei singoli e del popolo. Ma questo impegno non può essere demandato alla sola politica, deve avvenire innanzitutto in luoghi che risveglino l’io di ciascuno, lo educhino a un rapporto adeguato con la realtà (qualunque essa sia), gli facciano percepire esistenzialmente la centralità, unicità e sacralità di ogni persona. A partire da questo giudizio, proponiamo alcuni spunti di lavoro:

 

 Quando in un momento di crisi si spreca, quando si spende più di quello che si ha a disposizione, allora si compromette il benessere di tutti. Occorre perciò applicare agli enti locali la sussidiarietà fiscale, vale a dire il principio secondo cui bisogna premiare chi è capace di fornire servizi di qualità migliore a costi sostenibili. Oggi l’Italia non è tutta uguale, ci sono comuni e regioni virtuosi e altri che vivono nel clientelismo, nello spreco e nell’incapacità di gestire razionalmente le risorse. Se si vuole che ognuno sia responsabile e maturo, bisogna abbandonare la prassi dei tagli orizzontali, che premiano inevitabilmente i più irresponsabili. Ed è sempre più urgente sapere distinguere tra amministrazione e amministrazione: solo in questo modo miglioreranno i conti dello Stato e la qualità dei servizi per i cittadini.

 

 In particolare, questo si vede nella sanità: ci sono regioni che offrono servizi di altissimo livello a costi inferiori ed altre in cui interventi sanitari di livello mediamente mediocre sono erogati a costi molto più alti, con tempi di attesa molto superiori e sprechi che sono all’ordine del giorno. Occorre attuare una politica differenziata da parte dello Stato centrale, che premi chi è virtuoso e sottragga responsabilità – per riportarle al centro – solo alle regioni e ai comuni che si dimostrano incapaci di gestire in modo adeguato la sanità. Nelle singole regioni occorre privilegiare la libertà di scelta da parte dei cittadini di strutture sanitarie tra realtà statali e non statali che abbiano dimostrato di sapere raggiungere i risultati migliori. 

 

 Sono gli enti locali i più a contatto con la gente e, se si escludono le pensioni, sono essi a intervenire primariamente sul welfare. Se si continua a pensare che il pubblico coincida esclusivamente con l’amministrazione pubblica statale, essendoci sempre meno risorse finanziare da investire, è inevitabile un peggioramento delle condizioni di vita, soprattutto delle fasce più deboli della popolazione. Occorre, perciò,attuare finalmente una sussidiarietà orizzontale che coinvolga le realtà migliori del terzo settore nella gestione dei servizi alla persona e di pubblica utilità, in un partenariato reale tra pubblico e privato sociale. Solo unendo gli sforzi si risponde al problema della gente, come avvenne tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento grazie al movimento cattolico e operaio.  

 Un welfare più efficace e duraturo si ottiene solo investendo sul processo educativo, cioè arricchendo la capacità di conoscenza delle persone. Alcune amministrazioni locali hanno fatto propria questa preoccupazione, contribuendo così a migliorare il nostro sistema di istruzione: nuova formazione professionale, politiche efficaci di diritto allo studio e contro l’abbandono scolastico, sostegno alla scuola paritaria, nuovi strumenti moderni ed efficaci come voucher e doti-scuola che all’estero sono ampiamente praticati da anni. Si tratta di interventi virtuosi che vanno sostenuti e incrementati perché stanno facendo solo del bene.

 

A cura di Comunione e Liberazione                                                                             Maggio