E se il futuro politico dell’Italia passasse per Genova? All’ombra della Lanterna, da sinistra a destra, prove tecniche di scenari possibili, tali da eleggere una piccola regione a paradigma di qualcosa che potrebbe essere anche a livello nazionale. A rendere contendibile la regione, roccaforte del centrosinistra, è la spaccatura nel Pd, con il sindaco di Bogliasco Luca Pastorino, deputato di fede civatiana, in campo contro la candidata ufficiale Raffaella Paita.
I sondaggi parlano di un 15% almeno, tendente al rialzo, che riduce a un pugno di voti il vantaggio della Paita, assessore regionale alla protezione civile uscente nella giunta Burlando e sotto inchiesta per la gestione dell’ultima alluvione. La fuoriuscita di Pastorino, passato ben prima di Civati al gruppo misto, nasce all’indomani delle contestatissime primarie vinte dalla Paita contro Cofferati e raduna una sinistra che non si riconosce più in un Pd considerato troppo di apparato, e che per di più si dichiara delusa dalla prima metà del mandato del sindaco “rosso” di Genova, Marco Doria, che aveva alimentato grandi speranze quando era stato eletto con largo margine nel 2012.
Linea politica troppo moderata, attenta più ai poteri forti che alle emergenze sociali, come la disoccupazione, il caso ligure riproduce in piccolo uno scenario nazionale. E Renzi ne è talmente consapevole da essere sceso in campo in prima persona, indicando in Pastorino una sinistra che vuole perdere, e che — così facendo — finisce per fare il gioco dei moderati.
Al pari di Civati, Pastorino non si sente scalfito dalle accuse, e va avanti, convinto di poter dimostrare al Pd targato Renzi che la sinistra non può fare anche la destra, che il “partito della nazione” non può tenere insieme il diavolo e l’acquasanta, con il beneplacito di grandi potentati economici e finanziari. Uno scenario che sul piano nazionale è ancora lontano, ma che da un insuccesso della Paita prenderebbe forza e vigore.
Da questa frattura nel campo avversario potrebbe approfittare il centrodestra, che si presenta unito come in nessuna altra regione, dietro la candidatura del braccio destro di Berlusconi, Giovanni Toti. Vincendo l’accusa di essere stato paracadutato dall’alto in virtù di un accordo spartitorio con Salvini, l’ex direttore del Tg4 — che ligure non è — ha saputo recuperare persino Alfano, oltre a Salvini e alla Meloni.
E’ esattamente il modello che Berlusconi ha in testa per la ricostruzione del centrodestra: un grande contenitore all’americana che riunisca i moderati italiani. Non necessariamente un partito unico, perché — ha spiegato in un’intervista al Secolo XIX — ce ne sono anche troppi. Si tratta allora di una struttura leggera cui possano aderire i movimenti politici, i gruppi e i semplici cittadini.
Secondo Berlusconi non necessariamente la leadership di questo contenitore deve andare a coincidere con la candidatura a Palazzo Chigi. Lui — infatti — dalla seconda è escluso sia dalla legge Severino (almeno sino a che non arriverà un verdetto positivo dalla Corte di Strasburgo), sia dall’età. Sottolineare questo aspetto significa anche lanciare un segnale di pace a Salvini, come a suggerirgli di non sganciarsi. E’ noto, infatti, che il leader leghista va ripetendo che a oggi il Carroccio andrebbe solo alle elezioni. Ma le leadership — dice Berlusconi — non si possono definire a tavolino, le stabiliscono i consensi. Ecco allora che una divisione funzionale fra l’ex premier, punto di riferimento, e il giovane successore di Bossi come sfidante del Matteo democratico si delinea come una soluzione per non disperdere le forze dei moderati.
Certo, tenere insieme Alfano con Salvini, che non passano giorno senza insultarsi, non sarà impresa facile. Ma il caso genovese, soprattutto se dovesse avere esito positivo, potrebbe aiutare. Lo spazio politico per un rilancio non è però molto, visto la fronda interna a Forza Italia, con Fitto pronto a formare propri gruppi parlamentari e a traslocare sul piano europeo dal Ppe al gruppo conservatore. E anche il teatro minuscolo in cui Berlusconi ha parlato ai suoi a Genova parla di un’irreparabile erosione del consenso.
Eppure proprio dalla Liguria il Cavaliere intende ripartire. Il patto del Nazareno sembra lontano anni luce, e Renzi non appare più invincibile, anche se Berlusconi è il primo a sapere (e a dirlo ai suoi fedelissimi) che ci vorrà tempo per batterlo. Ma se Giovanni Toti dovesse contro ogni previsione uscire da vincitore, il progetto ispirato ai repubblicani made in Usa comincerebbe a prendere davvero forza, e toccherebbe agli altri leader dell’area moderata dire di no, assumendosene la responsabilità. Di farsi da parte il vecchio leader azzurro non ha davvero alcuna intenzione.