Il paragone con Achille Lauro è fin troppo facile, ma è venuto in mente a troppi. Matteo Renzi che promette 500 euro ai pensionati (ad agosto), dopo aver promesso 80 euro al mese un anno fa ai lavoratori dipendenti. E di nuovo nell’immediata vigilia di un importante turno elettorale, nel 2014 le europee, ora le regionali. 



Il fatto che l’episodio si ripeta praticamente identico ad appena un anno di distanza fa intendere che questo sia il modus operandi del premier segretario: roboanti promesse di elargizioni pubbliche da mettere in atto subito dopo il voto. Un anno fa, innegabilmente, il meccanismo funzionò alla grande, contribuendo a fare schizzare alla mirabolante cifra del 40,8% un Pd che non era riuscito a superare il 30 appena un anno prima, e aveva divorato due suoi leaders, Bersani e Letta, per fare spazio al sindaco di Firenze.



Viene da chiedersi se la promessa possa funzionare ancora. Sulla carta sembra fatta apposta per solleticare una rilevante parte dell’elettorato democratico. Addirittura potrebbe essere perfetta per risollevare le incerte sorti della campagna elettorale in Liguria, la regione a maggiore tasso d’invecchiamento e dove la candidata ufficiale del Pd boccheggia e rischia il sorpasso sul filo di lana da parte del consigliere politico di Berlusconi, Giovanni Toti.

Il gioco però sembra essere troppo scoperto rispetta a dodici mesi fa per poter raggiungere lo stesso livello di efficacia. Alla maniera di Lauro, Renzi promette una scarpa subito, e una ad agosto, ma la platea dei possibili beneficiari è molto più ridotta rispetto al 2014, quattro milioni contro dieci. E bisogna anche prendere in considerazione l’effetto boomerang dell’insoddisfazione di chi percepisce una pensione medio-alta e si vedrà restituiti solo in parte (o addirittura per nulla) i mancati aumenti tagliati da Monti con un provvedimento giudicato ora illegittimo dalla Corte costituzionale.



In più, si tratta di una una tantum, ed è troppo poco agli occhi di molti. Non solo tutti i partiti di opposizione, ma anche i sindacati reagiscono dicendo che Renzi non se la può cavare così e che l’una tantum non può bastare. Insomma, da Forza Italia alla Lega, dal Movimento 5 Stelle a Sel, tutti dicono che lo Stato dovrebbe restituire ai pensionati sino all’ultimo euro tagliato da Monti, Fornero e company.

Renzi si è baloccato un paio di settimane con la sentenza della Consulta senza prendere posizione pubblicamente. Ha atteso che la Ragioneria dello Stato facesse i suoi calcoli, e ha capito che il rispetto integrale della prescrizione avrebbe creato un buco enorme nei conti dello Stato. Ha deciso di giocarsi prima del voto quello che impropriamente ha definito “tesoretto”, e che altro non è se non il risparmio sugli interessi dei titoli di stato derivante dal favorevole andamento dello spread.

Ha deciso di agire subito, prima del voto, per massimizzare l’effetto dell’annuncio, ma è difficile smentire Brunetta, quando dice che “se Renzi distribuisce due miliardi ai pensionati sui 18 che avrebbero dovuto essere restituiti, è chiaro che ai pensionati ne sottrae 16”.

Per neutralizzare questa lettura Renzi ha battuto in tv sul fatto che la sentenza della Corte non gli ha fatto piacere e che quei due miliardi avrebbero potuto essere meglio impiegati nella lotta alla povertà. Come se volesse zittire chi reclama i suoi diritti sulla base delle sentenze. Inevitabile, infatti, immaginare un diluvio di ricorsi da parte di chi sarà tagliato fuori da ogni beneficio, ma questo arriverà dopo che l’arma segreta avrà portato i suoi effetti nell’agone elettorale del 31 maggio. 

Che servisse una mossa teatrale per risollevare una situazione è dimostrato da troppi indicatori, dai sondaggi sulle regioni (Liguria e Campania in bilico, Veneto praticamente perso), come dalle crescenti contestazioni sociali, prima il Jobs Act poi la riforma della scuola, tradizionale bacino elettorale del Pd. Con la triplice sindacale il dialogo è ai minimi termini. E dentro il partito, dopo l’addio solitario di Civati si prepara un’uscita molto più consistente, capitanata da Fassina, da sempre vicino alla Cgil. Persino episodi in apparenza marginali, come i solenni fischi che hanno accolto Maria Elena Boschi alle premiazioni degli Internazionali d’Italia di tennis sul campo centrale del Foro Italico a Roma rendono evidente che la luna di miele con l’opinione pubblica è finita da un pezzo.

Come a poker, il rilancio diventa una mossa obbligata, per recuperare consensi ma soprattutto per guadagnare tempo, e arrivare (nelle speranze di Renzi) a cogliere i frutti di quella ripresa economica che tarda troppo a manifestarsi con chiarezza, e che ancora si misura — quando va bene — con qualche decimale di Pil.

Spregiudicato è il metodo, che — appunto — richiama i peggiori campioni del voto di scambio. La differenza, però, sta nel fatto che il Comandante Lauro nella Napoli degli anni Cinquanta le scarpe le pagava con i soldi suoi, e non con quelli pubblici.