Paradossalmente, il vero elemento di novità delle elezioni regionali pugliesi del 2015 rischia di essere quello più prevedibile, vale a dire quello già lungamente programmato della candidatura di Michele Emiliano a governatore. Le altre proposte elettorali, per contro, nonostante gli scossoni e i colpi di scena, si sono dimostrate ripetitive delle passate esperienze e prive di un proprio appeal politico e personale.



Quanto al centrodestra, la competizione fra le due liste concorrenti guidate da Adriana Poli Bortone e da Franco Schittulli appare doppiamente deficitaria. 

Per un verso, essa rinvia alla più generale contesa fra Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto, replicando al proprio interno i segni dell’implosione politica di Forza Italia e della conseguente fuga delle personalità più forti e capaci da un partito oramai allo sbando e privo di un progetto di qualche credibilità, sia pure solamente mediatica. E anzi, l’operazione di avere ripescato Adriana Poli Bortone dalla quiete della pensione e di averla rigettata nell’agone politico senza nemmeno il tempo necessario per approntare un progetto adeguato al futuro della Regione, ben evidenzia la dignità e l’attendibilità dell’intera operazione; un’operazione priva di altre finalità se non quella di osteggiare l’unitarietà di un centrodestra territorialmente riconducibile a una personalità regionale (Fitto) invisa al leader nazionale del medesimo schieramento di riferimento (Berlusconi).



Per altro verso, la competizione fra le due liste del centrodestra appare come un déjà vu. Già nella scorsa tornata elettorale, infatti, il centrodestra perse a causa di analoghe divisioni interne, sfociate poi in una sfida suicida che proprio Adriana Poli Bortone intentò contro l’allora Polo delle libertà guidato da Berlusconi e Fitto, quest’ultimo colpevole di non essere riuscito a impedire. Sicché, oltre a replicare in scala regionale gli effetti di una gravissima crisi nazionale, la divisione locale del centrodestra denunzia i limiti politici dei suoi leader. Essa rinvia alla sperimentata incapacità di Raffaele Fitto, emersa in tutto il trascorso decennio, di costruire attorno a sé un’alternativa politica vincente, coadiuvando un progetto politico non solo territorialmente radicato, ma soprattutto politicamente inclusivo e condiviso; un progetto capace di attrarre e valorizzare le diverse presenze della società civile, come pure di farsi interprete di quei settori generazionali e sociali solitamente distanti dai consueti circuiti (clientelari) del consenso elettorale.



Quando nel 2010, all’indomani della seconda vittoria sul centrodestra, Nichi Vendola difese beffardamente Raffaele Fitto al grido di “Nessuno tocchi Raffaele”, non si limitò a canzonare il suo avversario, già destinatario delle tante critiche provenienti dall’insofferenza di molti settori del medesimo centrodestra; più ancora, colse e denunziò il vero limite del giovane politico, ai cui perseveranti errori ascrisse le ragioni della propria vittoria. Allora come ora, in definitiva, la conquista politica di una Regione è rimessa a una capacità di comprensione e di valorizzazione delle diverse istanze e soggettività territoriali, che Fitto non è riuscito a dimostrare.

Quanto al centrosinistra, stando ai vecchi sondaggi esso risultava pregiudicato dalla delusione per l’immobilismo della giunta Vendola. A dispetto delle aspettative suscitate dalle appassionate parole del governatore, si è trattato di una giunta tecnica e non politica; una giunta retta dagli alti burocrati regionali, alle cui indicazioni hanno dovuto piegarsi anche i principali assessori. Del resto, se in dieci anni si sono succeduti ben cinque assessori alla sanità, vuol proprio dire che la continuità della politica regionale è stata garantita dal personale tecnico e non già da quello politico. 

Di Vendola, insomma, resta l’immagine macchiettistica parodiata da Checco Zalone, che lo imitava come un parolaio forbito, appassionato, ma lontano dalla concretezza della realtà.

E’ in questo contesto che ha preso corpo la candidatura di Michele Emiliano. Egli è riuscito a interpretare le variegate aspettative d’innovazione e di sviluppo presenti nel territorio, offrendo una risposta politica e non clientelare. La sua candidatura è sostenuta da una varietà di liste, che spaziano dalla sinistra comunista al centro popolare. Si tratta di un’operazione che può ricordare quella del vecchio Ulivo di Prodi, con la differenza che quella coalizione era cementata dall’ossessione dell’antiberlusconismo e dalla lotta al nemico politico, mentre questa è definita (almeno formalmente) dalla preoccupazione di dare spazio alle richieste territoriali e politiche sinora tradite.

Così facendo, Emiliano pare essersi posto nella medesima prospettiva trasversale del fare già inaugurata da Renzi, manifestando un indirizzo politico più pratico che ideologico. Vi è però una differenza fondamentale: mentre il capo del governo assorbe e annichila gli alleati, neutralizzando le relative differenze, il primo sembra restituire agli stessi le originali identità. 

Anche per tale via, di conseguenza, risalta la differenza di Emiliano con Fitto: se quest’ultimo è costretto a cercare una propria identità politica andando oltre Manica e cavalcando il successo elettorale di Cameron, Emiliano resta pugliese e fa coincidere la propria identità con il coinvolgimento pratico delle diversità territoriali che intendono governare la Regione. 

Il problema, ovviamente, sarà quello di non rimanere schiacciati dalla possibile litigiosità infracoalizionale. Ma questa è un’altra storia. Al momento è sufficiente rilevare come la conquista del centro da parte di Emiliano si stia compiendo non già per annessione e annichilimento degli alleati, bensì per un loro partecipato coinvolgimento. Il resto è ancora da scrivere.