Primarie? Non se ne parla. Berlusconi, impegnato in Campania a sostegno di Stefano Caldoro, ieri ha risposto così a Matteo Salvini, che ha chiesto le primarie per decidere leadership e programma del futuro centrodestra. Berlusconi ha detto di avere in serbo “due o tre persone” per la guida del nuovo movimento. Che cos’ha in mente l’ex premier? Lo abbiamo chiesto a Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità, osservatore disinteressato (ma ben informato) delle logiche e dei movimenti berlusconiani.
Caldarola, domenica sera vedremo Berlusconi ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa. Una prima volta. Che cos’è, una mossa della disperazione?
No, mi pare più il tentativo di un’operazione-simpatia. Berlusconi non può più giocare la carta di Vespa perché è usurata; va da Fazio per farsi accettare da almeno una parte del composito mondo della sinistra. Il messaggio è chiaro: quella lunga guerra che abbiamo combattuto, io e voi, adesso è finita.
Berlusconi sa bene che in palio ci sono gli astenuti. La vera “maggioranza relativa”.
Sì, la stessa che ha fatto guadagnare a Renzi una percentuale pazzesca alle ultime europee e che ha penalizzato il Cavaliere fino a ridurlo al lumicino nelle ultime elezioni bolzanine. Gli astenuti sono un pericolo per Berlusconi perché quello è il suo mondo, il mondo dei moderati che ritenendo di non avere altre carte da giocare, scelgono di non giocarne alcuna.
Salvini ha detto sì alle primarie, ieri è arrivato il no di Berlusconi. Se l’ex premier cerca eredi, le primarie non sono il modo migliore per trovarli?
Berlusconi non ha mai creduto nelle primarie, solo nelle leadership di fatto. In Puglia Vendola vinse le prime primarie italiane perché D’Alema sottovalutò la mobilitazione di Cgil, Cobas, Fiom e Arci che costituirono il nucleo militarizzato intorno al quale il pur carismatico Vendola costruì il successo.
Un voto organizzato e militante che Berlusconi sa bene di non avere.
Non lo ha mai avuto. Ma ce l’ha Salvini, per esempio.
Per questo Berlusconi lo teme.
Sicuramente sì. Alle primarie la quota di elettorato più partecipe è quella che annusa il combattimento contro il nemico esterno, e questa parte più accesa è quella che si sta spostando verso Salvini, assai più dei moderati delusi dalle mancate riforme di Berlusconi.
Prima l’ex Cavaliere ha parlato di partito repubblicano, poi di movimento, poi di “due o tre persone” top secret da lanciare, poi di sé medesimo nel ruolo di federatore. L’impressione è che non sappia che pesci pigliare.
Diciamo che sta cercando di fare una pesca a strascico, alla guida di una nave che ha perso una parte dell’equipaggio, che ha delle falle e che è senza scialuppe di salvataggio. Cerca allora di trasformare la propria immagine lanciando l’idea di un’alleanza con Salvini, al tempo stesso però ha dei dubbi perché teme il “timbro” del leader leghista. Inoltre teme per le sue aziende.
Perché?
Perché il vecchio gruppo dirigente, Confalonieri in testa, è invecchiato, e il nuovo è incardinato sui due figli. Non gli sembra sufficientemente forte e intende proteggerlo.
Dunque l’ipotesi Marina secondo lei è tramontata?
Potrebbe esistere solo come ultima carta. Non la propone perché sa benissimo che Marina non ha la cosa più importante che un leader politico deve avere, l’appeal, che lui, papà Silvio, aveva da vendere. In secondo luogo, non vuole che un minuto dopo il suo ingresso in campo le arrivi un avviso di garanzia, come è successo a lui.
Giovanni Toti?
E’ bruciato. Mediaticamente, come leader, non ha sfondato. Anzi, non è da escludere che proprio per questo stia correndo in Liguria. Oggi Berlusconi è un po’ come un vecchio cardinale che entra in conclave senza sapere cosa fare. Gli resta l’uomo da un paese lontano, nel senso che Forza Italia è l’ultimo posto dal quale può venire il successore di Berlusconi.
Ma allora dove guarda?
Guarda al mondo degli industriali, della finanza, dell’impresa, proprio per continuare il mito della società civile che produce e dà lavoro, quel mondo che vedeva e vede con fastidio tutto ciò che sa di stato. A quel mondo lui ha parlato fin dal ’94 e quel mondo a lui si è rivolto.
Secondo lei, Caldarola, su quali cavalli sta puntando?
Potrebbero essere Guido Barilla o Alfio Marchini… Quest’ultimo è molto “romano”, viene da una famiglia di sinistra, conosce la sinistra per averla frequentata, ma se ne è anche distaccato, ha sfidato Marino. E’ giovane e buca lo schermo. Potrebbe essere lui il papa straniero. Sempre che Berlusconi faccia in tempo; ha un anno, un anno e mezzo per lavorarci su.
E se Berlusconi non avesse in mente nulla e stesse bluffando?
Con Berlusconi non si è mai sicuri di nulla, come non si è sicuri se venderà o no il Milan. Alla fine lo venderà, e lo dico da milanista. Allo stesso modo dovrà eleggere il papa straniero, i nomi ci sono o ci saranno. Però, ripeto, deve sbrigarsi.
Sbrigarsi perché?
Perché Berlusconi rimane un brand politico, ma se le sue percentuali elettorali risultassero troppo basse il gioco finirebbe completamente. Gli elettori sono un po’ come i lettori dei giornali, quando cominciano a scappare non li riacchiappi più. E per farli tornate indietro, altro che ricchi premi e cotillons. Il punto delicato è proprio questo: il suo elettorato ha sempre visto in lui un uomo vincente, per questo lo ha votato. Ma se l’uomo non è più quello di prima…
Se invece tiene?
Può darsi. Non alle regionali però, dove l’unico risultato utile gli può venire dalla rissa di sinistra in Liguria. Ma se alle politiche superasse le due cifre, potrebbe continuare faticosamente a trattare.
A trattare?
Sì. Soprattutto se un eventuale ballottaggio dovesse dare come esito Renzi contro Grillo, che, allo stato, è l’ipotesi più probabile.
(Federico Ferraù)