Comunque vada sarà un successo. Mette le mani avanti Matteo Renzi, a una settimana esatta dalle elezioni. Ma il suo cautelarsi dietro a una frase alla Chiambretti, dicendo che sarebbe una vittoria anche un 4-3 nelle regioni per il suo Pd, nasconde la paura che si possa concretizzare una clamorosa battuta d’arresto, la prima da quando ha vinto le primarie democratiche. Lo dice Renzi, lo ripete la Boschi: il voto amministrativo non avrà conseguenze sul governo. Ma entrambi sanno che le cose non stanno esattamente così. 



Il premier-segretario sa che ben difficilmente potrà ripetersi il clamoroso 40,8% delle europee di un anno fa. Sa anche, però, che una fetta del proprio futuro politico è ormai appesa all’esito delle elezioni regionali in Liguria e Campania, posto che la sconfitta in Veneto è largamente messa nel conto, mentre viene data per certa la vittoria in Toscana, Marche, Umbria e Puglia.



Al quotidiano genovese Il Secolo XIX Renzi dice che le cose andranno meglio di così. Ma di fatto la situazione di partenza è di 4-1, e il 7-0 dei più ottimisti è finito ormai in archivio, tanto è vero che nessuno a Largo del Nazareno ne parla più. In questa difficile campagna elettorale l’ex sindaco di Firenze ha a lungo tentennato sull’atteggiamento da tenere, e anzi a un certo punto è sembrato scaricare i suoi candidati più deboli, o chiacchierati, in particolare Alessandra Moretti in Veneto e Vincenzo De Luca in Campania. In entrambi i casi ha finito per metterci la faccia. In questo modo, però, una sconfitta del chiacchierato De Luca, che inzeppa le sue liste di impresentabili, diventerebbe una sconfitta dello stesso Renzi.



Al contrario, un 6-1 consoliderebbe la leadership renziana, e le consentirebbe probabilmente di assumere un’orizzonte di legislatura. Il principale ostacolo sulla via di questa affermazione è costituito dalla Liguria, dove secondo tutti gli osservatori a decidere le sorti della contesa sarà l’affluenza alle urne. Quanto più sarà bassa, tanto più cresceranno le possibilità di vittoria di Raffaella Paita, debole portabandiera del Pd, inquisita per la gestione dell’alluvione e uscita vincente da primarie contestatissime che hanno provocato l’uscita dal partito di Sergio Cofferati e di Luca Pastorino, deputato di fede civatiana che potrebbe determinare un’inattesa vittoria di Giovanni Toti.  

La Liguria come l’Ohio, Genova come Columbus. Qui la sfida si è fatta politica, e rende chiaro se il dissenso interno al Pd è in grado di fargli perdere le elezioni, oppure no. Pastorino e Civati ci scommettono. Se la Paita uscisse sconfitta, la minoranza dem si sentirebbe confortata dall’aver dimostrato di essere determinante, e potrebbe farsi più baldanzosa, reclamando una linea più di sinistra e molto meno decisionista per un partito che si è trasformato in un “one man band show”. Colpirne uno (Paita) per educarne 100 (il gruppo dirigente renziano), così — parafrasando Mao Tse Tung — si può sintetizzare la strategia della parte più audace dei malpancisti democratici.

Del resto, le insidie maggiori a Renzi vengono proprio dall’interno del suo partito,vista la pochezza degli avversari in campo. Berlusconi, ad esempio, sembra condannato a registrare una débâcle  clamorosa quasi ovunque, che solo una fortunosa vittoria di Toti potrebbe mitigare. E dopo il voto regionale dovrà fare i conti con un Salvini pronto — numeri alla mano — a rivendicare la guida del centrodestra, con buona pace dei brontolamenti di Alfano, Cesa, Casini, e dello stesso Berlusconi. 

Renzi giudica Salvini il miglior avversario possibile, perché troppo estremista, e conta di poter concentrare le energie sulla battaglia interna, che intende vincere definitivamente. Per farlo non ha avuto scrupoli a utilizzare il rimborso parziale degli arretrati ai pensionati allo stesso modo in cui dodici mesi fa fece con gli 80 euro. La differenza sta nel fatto che stavolta quanto verrà restituito è solo una minima parte del mancato versamento da parte dello Stato, quindi il “bonus Poletti” potrebbe rivelarsi addirittura un boomerang.

Per un politico abituato a giocare con spregiudicatezza su più tavoli questa scarsa efficacia di una sconfitta (davanti alla Corte costituzionale) trasformata in strumento di consenso costituisce una possibilità inattesa. In queste ore a Palazzo Chigi si vagliano tutti gli scenari possibili per il dopo voto. Un solo scenario è escluso per davvero, il ritorno al gioco di sponda con Silvio Berlusconi. In tv, ospite di Fabio Fazio, è stato lo stesso leader di Forza Italia a escluderlo, spiegando che il “patto del Nazareno” era un metodo ed è stato archiviato per sempre. 

A Renzi non resta che fare un forcing sui verdiniani per frantumare quel che resta di Forza Italia e accelerare la dissoluzione del partito azzurro, che sembra una polveriera sul punto di esplodere. In quell’area politica potrebbe nascondersi il pugno di voti utile per sottrarsi alle bizze della minoranza interna, soprattutto al Senato, dove i numeri del governo sono molto più ballerini che alla Camera.