Renzi a reti unificate. Quelle grosse, e quelle medie. E’ naturale scegliersi le platee più seguite e applaudite. Non ha molto da comunicare, quel che gli riesce meglio è se stesso, e la sua esuberanza da guascone che attira su di sé strali e sorrisi, ammirazione e ansia. Accentra, anche l’attenzione, e non c’è altra strada, per sviare da problemi che paiono insormontabili e via via più spinosi, nonostante i ripetuti appelli all’ottimismo e al sol dell’avvenire. Troppa comunicazione annulla la comunicazione? Non ancora, e pour cause.



Primo, la gente è stanca, della politica, delle chiacchiere, delle promesse, dei talk, degli spot, degli annunci, delle polemiche, di una classe dirigente che parla solo di sé, che si arrotola sulle proprie faide e ripicche, in cui ciascuno si reputa essenziale e determinante, anche se le sue percentuali di consenso non superano le due cifre.



Tattica, che ha stancato, perché non ci riguarda nella quotidianità affannata di tasse, criminalità, immigrazione incontrollata, irrilevanza internazionale (questa più brucia, e dà la misura di quanto i nostri guai siano irrisolvibili, quanto più diciamo che li stiamo risolvendo, quanto più millantiamo crediti sostanziali al di là di qualche stretta di mano o sorrisi un po’ meno ironici nei consessi che contano).

Secondo, se non Renzi, chi altri? Chi mai varrebbe la pena ascoltare? Qualche replicante nel suo partito, così fluido e inafferrabile, così poco partito? Qualcuno che ripeta peggio e con meno convinzione quel che il capo afferma con inattaccabile sicurezza e candido ardore? (sicumera e finzione, diranno altri, e sono il risvolto negativo della stessa arte di comunicare. Pugni e sorrisi, bastone e carota, un buffetto alle nonne che guardavano la Ruota della Fortuna e uno sfottò ai giovani già vecchi lamentosi critici per la loro insignificanza).



Il premier ha al suo fianco belle presenze e qualche bella persona, probabilmente di provata onestà e impegno. Ma è solo lui che decide, solo lui che da il la e dirige l’orchestra. Se lui si spende, meglio ascoltare l’originale, presidente del Consiglio e capo del partito di maggioranza (pazienza se del tutto relativa, poiché basata sui sondaggi, non sul voto, sulla maggioranza di una minoranza). Oltretutto, l’imitazione di Crozza si sovrappone al personaggio reale, scatenando un effetto simpatia, un inconscio, contagioso ribaltamento d’immagine tipico dell’eccesso di satira. Quando il comico esagera, si sorride di più, gli si crede di meno. E le criticità si smorzano.

Dunque, Renzi spopola, e qualche voce stizzita ricorda i termini della par condicio, rammenta la sua rigida osservanza quando c’era lui, il Cav, notando ripetute affinità tra i due leader che ci sono toccati in sorte (va bene, uno era stato scelto e l’altro no, però è stato così bravo che adesso lo sceglierebbero, e poco cambia).

Tutto vero, non si fanno presìdi fuori dai cancelli Rai, le piazze non si riempiono contro il dominatore dell’etere. Prima di tutto, Berlusconi aveva la televisione, e continua ad averla, e la par condicio continua a non essere rispettata nelle sue riserve, ovvero Italia 1 e Rete 4, richiamate da sempre e tuttora per la predominanza assoluta di voci corali e unanimi col leader.

Renzi la controlla, per l’ossequio di chi ci lavora, ma la tv non è sua. Berlusconi divideva e divide, non sempre per sua colpa, ma comunque aveva sinceri e onesti oppositori, oltreché molti faziosi e scorretti. Renzi non ha opposizione (che aspiri a governare un giorno, e per questo non considero Salvini). Berlusconi aveva e ha un’età. Renzi si propone come nuovo, e per un po’ di tempo riuscirà ancora a farlo credere. Non ci sono altri più nuovi e affidabili, né intorno a lui (ci sta ben attento) né contro di lui. Berlusconi non è più credibile: ha svenduto la sua immagine da Casoria e Olgettine, e moralismo a parte, non aiuta a sognare, non suscita più invidia, ma un po’ pena.

Infatti adesso Berlusconi lo invitano anche nei salotti buoni, quelli dell’intellighenzia di sinistra à la crème, come invitano Pippo Baudo o Al Bano, ovvero un pezzo della nostra storia nazionale. Non c’è più il pericolo che riesca a ribaltare il tavolo, com’è successo tante volte, e non lo odiano più. Lui gigioneggia, sorride, scatena perfino l’applauso, pericolosamente sfiorando il ridicolo, e porta invece consenso a Renzi, che ha le mani in pasta, e le cose sembra farle, sembra gestirle, sembra conoscerle davvero. Se domina la scena, prim’attore senza antagonisti, non è solo merito suo, no è certo colpa sua. Non ha antagonisti. C’è solo Travaglio, e dovrebbero invitarli sempre assieme, in ogni programma. Altrimenti, acuti osservatori del presente ascoltano compunti, dissentendo al più con un incerto dondolio del capo. Intransigenti e sferzanti fustigatori alzano il dito scusandosi della domanda troppo audace, incapaci di replicare e incalzare.

E’ un brutto momento, per la televisione, si tira la cinghia, il futuro è incerto, il lavoro si restringe. Epperò il gusto del confronto vero, la testardaggine di capire sul serio, la passione per la ricerca, lo studio dei dati reali. La libertà, la dignità, eccetera.