“Chi ha sofferto di più per la crisi al momento del voto sceglierà di astenersi. Abbiamo un processo democratico che mostra alcune incrinature, e ciò è preoccupante perché l’Italia è priva degli anticorpi di cui dispongono altri Paesi”. E’ l’analisi di Roberto Weber, direttore dell’Istituto di Ricerca Ixé. A due giorni dal voto per le Regionali in molti temono un’alta ondata di astensionismo. Quando in novembre si è votato in Emilia-Romagna si è presentato alle urne soltanto il 37,7% degli elettori, contro il 58,7% delle Europee di un anno fa. Il 2006, quando alle Politiche votò l’81%, sembrano appartenere a un’altra epoca storica. E il fatto che il voto del 31 maggio sia proprio in mezzo al ponte del 2 giugno di certo non aiuta.
In quanti andranno alle urne per le Regionali?
L’affluenza in queste Regionali scenderà al di sotto del 50%.
Chi se ne avvantaggerà?
L’astensionismo non avvantaggerà né colpirà nessuno in particolare. Quello che è in atto è piuttosto uno strutturale rifiuto di una parte cospicua della popolazione nei confronti della partecipazione alla vita politica. Nel 2006 sia centrodestra sia centrosinistra raccolsero 19 milioni di voti ciascuno, e quindi tanto governo quanto opposizione avevano un fortissimo avallo popolare. Quando questo viene meno in Italia si pongono dei problemi inevitabili.
Che cosa sta avvenendo?
La quota che non partecipa è gravata dalla presenza di quei ceti sociali che sono stati più colpiti dalla crisi. Pezzi forti di elettorato popolare non partecipano più. Chi è maggiormente sofferente al momento del voto sceglie di restare fuori. Abbiamo un processo democratico che mostra alcune incrinature. Anche in altri Paesi l’affluenza al voto è bassa, ma in quelle nazioni esistono degli anticorpi che noi non abbiamo.
Qual è l’identikit del cittadino astensionista?
Nella galassia del disagio ci sono ex fasce produttive e lavoratori che arrivano fino a 45 anni pur restando sempre dentro a un alone di precarietà. Questo malcontento trova in parte risposta nell’attuale offerta politica, ma tutti gli altri se ne restano a casa.
Chi vota per l’M5S?
A votare per l’M5S è sia una quota di elettori che un tempo avremmo definito di sinistra sia una quota di elettori di centrodestra. I moderati sono sempre più frammentati e quasi non esistono più.
Perché l’M5S non riesce a raccogliere tutta l’area del malcontento?
Perché l’M5S non fa politica. Non si vede traccia di un’attività che sia politicamente riconoscibile e che consenta a quella forza di essere un aggregatore. Grillo ha detto no a tutte le ipotesi che avrebbero potuto portare a un meccanismo di alleanze. Siccome gli elettori vogliono dei politici che governino, l’M5S si pone invece fin da subito fuori dall’area di governo.
L’astensionismo non rischia di penalizzare i partiti di protesta come M5S e Lega e di favorire il Pd?
In parte sì, anche se alla fine lo stesso Pd finisce per essere colpito dall’astensionismo. Mi preme piuttosto sottolineare che il massimo dell’espressione moderata del Paese si ritrova soprattutto nel Pd. Il voto a Forza Italia non ha più nulla di potenzialmente strutturato ed espansivo e le sue radici sono destinate a disseccarsi.
Che cosa è cambiato nella politica italiana?
La grande forza di DC e PCI, i due principali partiti della Prima Repubblica, era quella di riuscire a esprimere il popolo al loro interno. Sia pure in modo diverso, fino al 2006 le coalizioni di centrodestra e di centrosinistra sono riuscite a rispondere a questa stessa esigenza. Se è vero che le coalizioni presentano dei problemi di governabilità, con la nascita di Pd e Pdl nel 2007 c’è stata un’espulsione di ampie fasce di popolazione dalla partecipazione al voto. In particolare di quelle persone con idee politiche più radicali e sanguigne.
Il Pd ha smesso di essere una realtà interclassista come erano un tempo DC e Pci?
Il Pd tocca ancora tutte le classi sociali. Analizzando però i risultati degli ultimi sondaggi, mi ha colpito il fatto che la parte più cospicua degli elettori del Pd è composta da pensionati. Su chi sta in pensione possiamo dare tanti giudizi, ma non è detto che sia la fascia di popolazione che ha pagato di più per la crisi. Il fatto che quest’area si raccolga sotto l’ala del Pd di Renzi significa che trova un conforto, una garanzia di continuità che altri partiti non sanno offrire. Tra le persone con meno di 40 anni invece, l’M5S ha quasi gli stessi consensi del Pd.
Perché da noi non succede come in Spagna dove ha vinto Podemos?
Perché manca un magnete che raccolga i voti delle persone tra i 20 e i 45 anni che hanno pagato di più per a crisi. In Italia tutto ciò non può accadere, e il motivo è che c’è un elemento di moderazione intrinseca nell’elettorato italiano che non consente il realizzarsi di questo fenomeno.
Con quali conseguenze?
Quando si spezza il fronte del voto di protesta, lasciando fuori una parte di cittadini che non votano, mentre solo una parte vota per partiti come l’M5S, a essere premiato è chi riesce a esprimere il baricentro moderato del Paese. E’ questo il motivo per cui sono convinto che il Pd vincerà queste elezioni regionali.
(Pietro Vernizzi)