L’ago della bilancia stavolta pare essere una lanterna. Le regionali del 2015 sembrano destinate a non disputarsi in sette regioni, ma fondamentalmente in una sola: la Liguria. Per qualcuno potrebbe essere questa la carta vincente di Matteo Renzi, carta che potrebbe renderlo capace del mitico “6 a 1” che lo consacrerebbe — definitivamente — leader del Pd e Principe del Bel Paese. Per qualcun altro la Liguria, al contrario, potrebbe essere la regione della rinascita, il volano ai progetti berlusconiani di rifondazione del centrodestra nell’unico, grande, “comitato elettorale” dei Repubblicani di casa nostra. Tutto suggerisce, in definitiva, che la storia di queste regionali sia la favola di una sfida aperta. 



Eppure non è proprio così. Molti dettagli i non liguri non li conoscono e molti altri li ritengono irrilevanti, ma ciò che si muove nella “casa del pesto” è diverso da ciò che si dice e si comunica. Per questo, a quattro giorni dalle elezioni, tentiamo di scoprire le carte e proviamo a capire che cosa bolle davvero in questo calderone offrendo a chi legge sette notizie che nessuno dice ad alta voce.



Prima notizia: la Liguria è un insieme di almeno cinque regioni politiche. Dalla cartina geografica pochi lo direbbero, ma la striscia di terra lambita dal Tirreno è composta da una piccola serie di aree facilmente identificabili. C’è il Ponente, storica roccaforte liberale fino alla periferia di Savona, c’è quindi il Savonese fortemente in mano agli uomini del Pd, e c’è Genova la Rossa, patria di una Sinistra molto radicale che, tuttavia, non ha ancora del tutto voltato le spalle a Renzi. A Levante poi viene il Tigullio, da Portofino a Moneglia con le valli dell’entroterra, antica enclave liberale e democristiana, e infine lo spezzino — dalle Cinque terre fino al confine con la Lunigiana — saldamente in mano agli uomini dell’ex Pci. Ovviamente in ciascuna di queste zone ci sono delle eccezioni, come la “sinistra Sestri Levante” o alcune località della pianura ingauna decisamente poco inclini alla tradizione democratico-cristiana; ma su queste cinque aree si gioca senza dubbio tutta la battaglia di queste elezioni.



Seconda notizia: allo stato attuale i candidati veri sono quattro. Sulla carta sono ben otto, ma quattro di essi sono destinati a raccogliere poco più dello zero virgola in alcuni quartieri ben definiti di Genova, lasciando la partita alla renziana Paita, al berlusconiano Toti, alla pentastellata Salvatore e al civatiano Pastorino. Sono questi i nomi su cui puntare tutta la nostra attenzione.

Terza notizia: vincerà la Paita. Forse non sarà un exploit, ma la donna si presenta ai nastri di partenza con alcuni endorsement che — benché fossero per le primarie — l’elettorato moderato non ha dimenticato. Basti pensare all’ex assessore della giunta regionale di centrodestra Franco Orsi (adesso sindaco ad Albisola) o ad un uomo di punta dell’area spezzina come Alessio Saso, entrambi schieratissimi nella battaglia contro Cofferati a favore della “Raffaella ligure” e poi, in definitiva, quasi scomparsi dai radar delle cronache ma sempre attivi nel sottobosco elettorale.

Oppure a uomini come il consigliere regionale uscente di Ncd, ricandidato a destra con Area Popolare, che risponde all’eloquente nome di Gino Garibaldi, o all’asso delle preferenze dell’entroterra, democristiano da sempre, Giovanni Boitano oggi in forza alla lista civica che appoggia la candidata renziana ma schieratissimo politicamente con l’ex parlamentare Pdl Gabriella Mondello. 

Sono tutti piccoli tasselli di un grande groviglio che disorienta l’elettorato di centrodestra e che lo divide in tre tronconi: quelli che, disgustati, non andranno a votare, quelli che seguiranno il loro kingmaker e quelli, infine, che ringalluzziti dai sondaggi proveranno a puntare sullo sbiaditissimo Toti. Ma il succo non cambia: i moderati escono molto deboli da questi anni e, fatta salva la Lega (che troneggerà), staranno per lo più a casa, lasciando ai rimanenti la gioia di dividersi in parti uguali come in tutte le buone famiglie.

Quarta notizia: i voti del centrodestra che arriveranno alla Paita sostituiranno parzialmente quelli che le sottrarrà Pastorino. Il candidato della sinistra Pd — e del progetto del nuovo contenitore post-vendoliano — infatti non sfonderà, ma farà bene soprattutto a Genova città. L’uomo ci sa fare, ha grandi doti comunicative, capacità e non ricorda neppure un attimo i suoi grandi sponsor, ma non è radicato al di là delle mura del capoluogo. E questa è la sua terribile debolezza. Per cui certamente prenderà buoni voti, ma troppo pochi e — soprattutto — già sostituiti dai paitiani del centrodestra.

Quinta notizia: Alice Salvatore, la pentastellata, non ha soldi per la campagna elettorale. Con lei ci sono molti giovani, molti voti d’opinione, ma in una delle regioni più vecchie d’Italia (benché patria del Grillo nazionale) questo conta poco o nulla. Per cui la gara, per la signorina, alla fine è con Pastorino e con la Lega. Non certamente con la Regina indiscussa delle liste e delle preferenze già proiettata sulla poltrona di Burlando.

Sesta notizia: Toti non esiste. Il ragazzo va in giro, stringe mani, ma non si orienta, non sa dove si trova. Questa storia del testa a testa l’hanno inventata a posta per far risultare ancora più smagliante la vittoria di Renzi, ma di sostanziale c’è poco. Certo: ha riunito tutti i volti del centrodestra italiano, ma non basta. Contro di lui, e contro Berlusconi, gioca l’astensione, il voto disgiunto, il malcontento grillino. Quando apriremo le urne non avremo grandi sorprese, se non l’allarmante astensionismo che incoronerà Renzi Re sulle macerie di un paese che non vota più perché non sa più per chi — e per che cosa — votare.

Settima e ultima notizia: Toti potrebbe sbaragliare tutti. Nessuno scherzo: è questo lo scenario più dietrologico e più inquietante. Qualcuno sta cercando non di azzoppare Renzi, ma di offrirgli l’avversario — a livello nazionale — più debole e più facile da battere. Chi meglio allora di Silvio Berlusconi? E allora una bella resurrezione in grande stile, come la vittoria a sorpresa in Liguria, rimetterebbe il Cavaliere al centro della scena pubblica, ma azzoppato e in definitiva senza alcuna possibilità di vittoria. Un capolavoro. Per Renzi. Un capolavoro che, se accadesse, vi farebbe capire che la borghesia genovese, in massa, ha seguito un ordine ben preciso. Quello di condannare la Liguria all’irrilevanza (utilissima per trovare in Toti il capro espiatorio dei prossimi probabilissimi disastri ambientali dell’autunno) e di fermare — questo sì — Matteo Salvini. Un capolavoro che porterebbe la firma non tanto di una “sinistra bertinottiana”, ma di un ritrovato connubio tra la parte socialista della città e quella degli eredi del Cardinal Siri.