“Io non esco dal Pd, bisogna tornare al Pd. Il gesto improprio di mettere la fiducia lo ha fatto Renzi, non io. E’ lui che ha fatto lo strappo”. Sono le parole di Pier Luigi Bersani, che ha commentato così il voto di ieri alla Camera dei Deputati sulla legge elettorale. Una posizione ch non convince Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità ed ex parlamentare dei Ds, secondo cui “quello di Bersani è un linguaggio bolscevico. Renzi è espressione diretta del Pd voluto da Prodi, Veltroni e D’Alema, ma siccome a interpretarlo oggi è un personaggio non previsto dalle fattucchiere, il partito non è più la ditta o la casa comune e si vuole ritornare all’Ulivo”.



Perché la minoranza Pd si è spaccata in aula?

Sì è spaccata perché c’è una parte che non condivide la linea dei big in quanto la considera senza prospettive. Interpreta cioè questa linea come il tentativo di uno scontro frontale con Renzi, cui non c’è come seguito né l’idea di una scissione, né quella di una proposta positiva. Di fronte a una sorta di “luddismo politico” una parte significativa della minoranza ha deciso che non si poteva dire di no al governo, comprendendo che non votare la fiducia corrisponde a un no all’esecutivo. In un partito chi dice no a un governo diretto dal proprio segretario si mette in una posizione di auto-esclusione.



Per Civati “la fiducia è un punto di non ritorno”. Lei come vede la sua posizione?

Civati è un ragazzo intelligente, ma non si è accorto che sta diventando un personaggio buffo. Il fatto che annunci un giorno sì e l’altro no che sta per andare via, rende la sua posizione carica di umorismo. Sarebbe opportuno che a questo punto decidesse di andarsene e provasse a dare vita a un rassemblement con altre forze.

Per Bersani a porsi fuori dal Pd non è chi non ha votato la fiducia, ma Renzi che ha deciso per lo strappo. E’ d’accordo con lui?

Quella di Bersani è una frase di tipo bolscevico. Mi domando come faccia il leader di una maggioranza a porsi fuori dal partito. Sostenere che un segretario, il quale gode di un’ampia maggioranza nel partito, sarebbe fuori dallo stesso partito è un linguaggio buffo. Bersani assomiglia ai comunisti che nel 1921 si volevano separare da Turati.



Il voto di fiducia sull’Italicum è una minaccia per la democrazia?

Non ha senso vedere nel voto di fiducia una minaccia per la democrazia. Nel momento stesso in cui pone la fiducia, il governo dichiara di ritenere che se un certo provvedimento non fosse approvato, non ci sarebbe ragione per continuare a rimanere al suo posto. Il presidente del consiglio chiede se deve restare al governo o andarsene, ed è quindi quanto di più democratico ci sia.

Condivide le critiche a Renzi nell’ultimo editoriale di de Bortoli sul Corriere?

De Bortoli ha ragione quando dice che il premier è “un maleducato di talento”. Renzi è il talento politico più forte della seconda Repubblica e ha superato lo stesso Berlusconi. Nello stesso tempo è vero che è un personaggio che non usa il “bon ton”. Un signore milanese come de Bortoli può lamentarsi della mancanza di buone maniere, ma la politica non conosce il “bon ton” da molto tempo. Io proibirei ai bambini di ascoltare il dibattito parlamentare, come gli proibirei di vedere un film a luci rosse. Accusare Renzi di questa degenerazione però non ha senso.

 

Come esce il centrosinistra da questa vicenda dell’Italicum?

Stupisce che l’impostazione di Renzi non piaccia a Romano Prodi. Lo stesso Arturo Parisi ha ammesso che Renzi si muove nel solco dell’ispirazione del Pd. Si tratta di un partito a forte leadership, scalabile attraverso le Primarie, che non ha riferimenti a schemi tradizionali di cultura politica perché pretende di rifondarla. Questo è il partito che hanno voluto Prodi e Veltroni, e cui hanno accondisceso D’Alema e Bersani.

 

Lo stesso Bersani che ora si lamenta per ciò cui queste scelte hanno portato?

Esattamente. Non capisco perché nel momento in cui questo partito è interpretato da un personaggio non previsto dalle fattucchiere come Renzi, non è più né il Pd né la ditta né la casa comune. E soprattutto non capisco gli appelli a tornare all’Ulivo, inteso come più partiti in coalizione. Significa che hanno preso in giro i militanti, spingendo per uno scioglimento di Ppi e Pds, e ora vorrebbero tornare indietro.

 

Renzi punta tutto sull’Italicum perché è privo di un’idea di politica economica?

Non metterei in relazione le due cose. Renzi pone la fiducia perché è giustamente convinto che bastava un emendamento per inabissare definitivamente la legge elettorale. E’ ben vero che sia Renzi sia i suoi oppositori interni ed esterni al Pd non hanno la minima idea di quale prospettiva indicare al Paese. Non c’è una sola forza politica che abbia presentato una mozione di indirizzo economico al dibattito parlamentare. I partiti della Seconda Repubblica si sono riempiti la bocca di liberismo e di mercato, ma nessuno ha mai portato un progetto per l’Italia.

 

Quali sono le responsabilità dell’attuale premier?

Renzi continua lungo questa strada e ciò è il suo punto di maggiore debolezza. La sua tesi è che la legge elettorale e la riforma di Senato e PA rendano più veloce il processo decisionale. Questo è sicuramente vero, ma a mancare è un discorso di politica economica sulla vocazione del nostro Paese. E’ un vuoto cui non avevamo mai assistito durante la Prima Repubblica né con Moro né con Berlinguer né con Craxi. Invece da Berlusconi e da Renzi non sappiamo e non abbiamo mai saputo qual è la loro idea di Italia.

 

(Pietro Vernizzi)