Pubblichiamo la lettera-appello inviata al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con la quale un gruppo di giuristi e costituzionalisti (G. Valditara, R. Caterina, M. Dogliani, L. Garofalo, D. Giordano, L. Lantella, A.M. Poggi, R.G. Rodio, S. Sfrecola, S. Tafaro, E.T. Bulgherini) chiede al capo dello Stato di non promulgare l’Italicum.
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Al Signor Presidente della Repubblica
Signor Presidente, spetta a Lei per Costituzione la promulgazione della legge elettorale appena approvata da una maggioranza parlamentare. Noi non condividiamo questa Legge, così come è stata proposta all’attenzione del Potere Legislativo dal Governo. Non la condividiamo né nel testo né nei modi con cui il Governo ha inteso proporla, in particolare con il ricorso al cosiddetto “voto di fiducia”.
Noi quindi ci rivolgiamo al Primo Magistrato della Repubblica, quale Garante ultimo al di sopra delle parti, rammentando a noi stessi le parole del Suo predecessore Giorgio Napolitano, pronunciate a Torino il 15 ottobre 2009 nel corso della cerimonia in occasione del centenario della nascita di Norberto Bobbio: “quella del Capo dello Stato, potere neutro al di sopra delle parti e fuori della mischia politica, non è una finzione, è la garanzia di moderazione e di unità nazionale posta consapevolmente nella nostra Costituzione“.
Signor Presidente, noi chiediamo a Lei di intervenire nei modi e con le forme che la prassi costituzionale Le riserva al fine di evitare che la promulgazione di questo articolato si trasformi in un vulnus alle ragioni democratiche che costituiscono l’essenza della nostra Nazione.
Noi crediamo, Signor Presidente, che l’azione politica debba fare un passo avanti, svolgendosi al di fuori delle logiche di pregiudizio ideologico e nel senso di una sua ampia trasversalità, laddove vengano toccati interessi che attengono al fondamento stesso della nostra unità nazionale, quando cioè sono in gioco elementi fondamentali della vita democratica.
Dunque non è nostro intento postulare in queste righe una visione ideologica che sovraintenda alle ragioni del nostro dissenso e le esprima. Noi ci limitiamo a raccogliere ciò che abbiamo letto e che condividiamo.
Quanto al “metodo” dell’approvazione, condividiamo quindi perfettamente, e qui Le rappresentiamo, le ragioni di dissenso che furono esposte da una personalità della nostra storia politica democratica, Nilde Jotti, allorquando, nel 1953, fu in discussione una riforma della legge elettorale sulla quale il governo dell’epoca pose il voto di fiducia: “Si è detto giustamente che su una legge elettorale il Governo bene avrebbe fatto se non avesse posto la questione di fiducia, poiché la legge elettorale, dopo la Costituzione della Repubblica, è la più importante e la più delicata ed in essa si esprime più che in ogni altra il regime democratico di una nazione. Ma oltre a questo noi abbiamo sentito, nel modo e nel momento in cui è stata posta la fiducia, elevarsi dai banchi del Governo il disprezzo per le norme che regolano la vita del Parlamento italiano, il disprezzo per la tradizione di questa Assemblea, il disprezzo per tutte le cose che formano la sostanza della democrazia in un paese civile. Noi ci siamo trovati di fronte, in questo modo, alla distruzione della facoltà legislativa del Parlamento, di quella facoltà legislativa che consente ad ogni deputato di intervenire nella modificazione e nella discussione di una legge, che consente ad ogni deputato di partecipare alla formazione delle leggi. Questo è senza dubbio il diritto fondamentale di un’assemblea legislativa come la nostra e, quando questo diritto viene violato, come qui è stato violato, noi abbiamo il diritto e il dovere di dubitare della sorte della democrazia nel nostro paese; noi abbiamo il diritto e il dovere di lottare perché al nostro paese non si apra un periodo troppo triste e duro. … Il Governo di fatto distrugge l’uguaglianza che il popolo si è conquistato attraverso la sua lotta…. Questa legge mina perciò la democrazia alle sue basi, e, poiché per la democrazia hanno combattuto gli uomini e le donne della mia terra e per la libertà della patria tanto hanno dato, penso sia mio preciso dovere di esprimere l’indignazione e la profonda sfiducia che essi provano verso questo Governo”.
Quanto al “merito”, la legge appena approvata in Parlamento presenta i medesimi vizi di costituzionalità già censurati dalla Corte costituzionale con la n. 1 del 2014, con riguardo al premio di maggioranza e all’espressione del voto di preferenza.
Per quanto riguarda il premio di maggioranza mentre è prevista una soglia al primo turno (che essendo fissata al 40% rende sostanzialmente difficile il suo raggiungimento da parte di singole liste), al secondo turno non vi è alcuna previsione di soglia e la lista (singola, perché non sono possibili apparentamenti) che vince, indipendentemente dalla percentuale che raggiunge, si attribuisce l’intero premio di 340 seggi.
Tale meccanismo, dunque, riproduce il vizio di costituzionalità già evidenziato dalla Corte con riguardo alla legge 275 del 2004 che la Corte (nella sent. 1/2014) ha motivato in tal modo:
“le disposizioni censurate sono dirette ad agevolare la formazione di una adeguata maggioranza parlamentare, allo scopo di garantire la stabilità del Governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale, ciò che costituisce senz’altro un obiettivo costituzionalmente legittimo. Questo obiettivo è perseguito mediante un meccanismo premiale destinato ad essere attivato ogniqualvolta la votazione con il sistema proporzionale non abbia assicurato ad alcuna lista o coalizione di liste un numero di voti tale da tradursi in una maggioranza anche superiore a quella assoluta (340 su 630). Se dunque si verifica tale eventualità il meccanismo premiale garantisce l’attribuzione di seggi aggiuntivi (fino alla soglia dei 340) a quella lista o coalizione di liste che abbia ottenuto anche un solo voto in più delle altre, e ciò pur nel caso che il numero dei voti sia in assoluto molto esiguo, in difetto della previsione di una soglia minima di voti/o di seggi” (sottolineatura nostra).
La circostanza che la soglia è prevista al primo turno non può superare il rilievo di incostituzionalità, essendo del tutto ragionevole prevedere che data la misura di tale soglia (40%) sia altamente probabile che si richieda il secondo turno.
Dunque: contrasto con gli artt. 1, secondo comma e 67 Cost perchè tale previsione consente una “illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della rappresentanza politica nazionale, si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali, dotate di una caratterizzazione tipica ed infungibile, fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e di controllo del governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione” (sent. n. 1/2014).
Sempre lo stesso meccanismo si pone in contrasto con l’art. 3 Cost perché la sovra-rappresentazione della lista che vince rende del tutto non-rappresentato e non-rappresentabile in alcun modo il voto dei cittadini che hanno dato il loro voto a liste che non hanno vinto, magari anche di poco. Con riguardo al secondo aspetto, e cioè all’espressione delle preferenze, è indubbio che la legge appena approvata costituisca un passo in avanti rispetto alla precedente in quanto blocca unicamente i capi-lista e non l’intera lista. Tuttavia tale previsione farebbe si che i cittadini potrebbero scegliere quale deputato eleggere solo se voteranno la lista che vince il premio di maggioranza. Inoltre, come ben evidenziato dall’on. Andrea Giorgis: “la distanza tra eletti ed elettori è peraltro aggravata – oltre che dall’istituto (particolarmente discutibile) delle pluricandidature – dal meccanismo di riparto sulla base del collegio unico nazionale che rende difficile prevedere in quale collegio territoriale scatta l’attribuzione del seggio; e dunque rende difficile per i cittadini prevedere gli effetti del proprio voto e perfino delle proprie preferenze“.
In tal modo non si supera il rilievo di costituzionalità che la Corte ha evidenziato quando ha ritenuto incostituzionale il meccanismo delle liste interamente bloccate dai partiti quando ha evidenziato che: “le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee non consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell’ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello stesso art. 49 (ordinanza n. 79 del 2006). Simili funzioni devono, quindi, essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini e alla realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale” (sent. n. 1 del 2014).
Già nella sentenza n. 203 del 1975 inoltre la Corte ebbe a sottolineare che la libertà di voto del cittadino debba essere “sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nerlla scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza“.
Dunque, sotto questo profilo, la normativa approvata si pone in contrasto con l’art. 48 Cost. Vi sono poi considerazioni più di carattere politico-istituzionale che sono state espresse alla Camera dei Deputati da un parlamentare che fa parte della attuale maggioranza di Governo, l’onorevole professor Andrea Giorgis, che non possiamo che fare nostre:
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“La seconda considerazione critica che vorrei avanzare potrebbe essere così sintetizzata: il disegno di legge che stiamo discutendo, come per alcuni aspetti già cercava di fare la precedente legge Calderoli, tende a introdurre una surrettizia elezione diretta dell’Esecutivo, che rischia di trasformare la natura del Parlamento, da luogo di rappresentazione del pluralismo politico e sociale nel quale si realizza l’integrazione e l’unità, in un luogo di rispecchiamento della forza del leader e della sua maggioranza (minoranza) che vince il premio: formalmente si vota per la scelta dei parlamentari ma sostanzialmente si sceglie l’Esecutivo (rectius: il suo Capo) cui assegnare una maggioranza di parlamentari (che di fatto dovranno la propria elezione a lui più che agli elettori).
Il che accentua il profilo personale della competizione politica e molto difficilmente sostiene un processo di rilegittimazione dei corpi intermedi, e in ultima analisi un processo di rafforzamento della capacità decisionale delle istituzioni democratiche.
Affinché queste ultime possano svolgere una efficace azione di governo, credo infatti sia necessario che sussistano o si realizzino condizioni sostanziali di unità; è in altri termini necessario che i partiti politici non siano marginalizzati e le liste o le coalizioni siano espressione di un processo reale di integrazione. Ciò ovviamente non significa negare che la semplificazione del sistema politico sia un’esigenza reale. Ma solo evidenziare che una eccessiva e astratta semplificazione, priva di sostanza programmatica, rischia di tradursi nel suo contrario, ovvero nella polverizzazione dell’intero sistema rappresentativo, e nel conseguente incentivo a pratiche populiste e demagogiche che, nell’immediato, possono dare l’impressione di sopperire alle difficoltà dei processi partecipativi e alla frammentazione politica, ma alla fine si dimostrano incapaci di conferire alle istituzioni quella forza e quella legittimazione di cui necessitano per mantenere le promesse dello sviluppo e dell’uguaglianza.
Infine una considerazione di metodo non meno importante di quelle di merito. Le leggi che strutturano l’ordinamento democratico non sono leggi come le altre: il principio di maggioranza deve essere declinato in maniera diversa quando si riscrive parte della Costituzione o si predispone una nuova legge elettorale. Le disposizioni che disciplinano la democrazia, in quanto ‘regole del gioco’ – come si è più volte ripetuto – non devono essere poste da un solo giocatore, ma devono essere condivise, devono essere il prodotto di un ampio accordo tra le diverse forze politiche e, soprattutto – anche per questa ragione – non devono essere poste (direttamente o indirettamente) dal Governo, ma devono essere espressione dell’autonomia parlamentare“.
Signor Presidente, noi Le chiediamo di non promulgare questa legge certamente incostituzionale.
Prof. Giuseppe Valditara, Università di Torino
Prof. Raffaele Caterina, Università di Torino
Prof. Mario Dogliani, Università di Torino
Prof. Luigi Garofalo, Università di Padova
Avv. Diego Giordano, Roma
Prof. Lelio Lantella, Università di Torino
Prof. Anna Maria Poggi, Università di Torino
Prof. Raffaele Guido Rodio, Università di Bari
Dr. Salvatore Sfrecola, Presidente di sezione Corte dei Conti
Prof. Sebastiano Tafaro, Università di Bari
Prof. Elda Turco Bulgherini, Università Tor Vergata, Roma