Se M5S tiene le posizioni – con affluenza bassa – vuol dire che il 40% di giovani italiani disoccupati continua a non fidarsi di Matteo Renzi. Che nel primo ponte d’estate del 2015 milioni di giovani ed ex giovani continuano a non avere euro in tasca per andare al mare: neppure dopo l’operazione 80 euro, neppure dopo il Jobs Act. Continuano a non avere altro da spendere che il certificato elettorale: e con esso comprano tuttora la proposta (formalmente antipolitica) di Beppe Grillo. Una proposta – lo notava alla vigilia con la consueta acutezza Antonio Polito sul Corriere della Sera – che mano a mano che gli anni e le tornate elettorali passano tende a diventare blocco: radicale e protestatario finché si vuole, ancora magmatico e in parte inafferrabile (da che lato fa opposizione?), ma ormai “blocco”. Blocco più socio-economico che politico, ma è quello che interessa in questi appunti a caldo.
Se in Veneto Luigi Zaia si conferma a dispetto della frattura interna alla Lega (che comunque totalizza nelle prime proiezioni quasi il 60%), vuol dire che nel Nord “vero” – quello dell’imprenditorialità privata – il Pd di Renzi continua a non entrare neppure in partita. E Renzi resta chiaramente il premier che nel Nordest va al Festival dell’Economia di Trento (astratta “Davos de noantri”) dopo aver rifiutato l’invito di Giorgio Squinzi all’assemblea Confindustria all’Expo. Resta quello che prova a cancellare le Popolari per decreto in una notte. Resta quello che pasticcia col 730 precompilato. Resta quello che chiacchiera ogni giorno di banda larga. ma stringi stringi invia al Nord i soliti super-magistrati sceriffi.
Se in Liguria, gli exit polls e le prime proiezioni danno in testa il candidato “di Silvio Berlusconi” significa che un partito-azienda (il vecchio Pci) è al capolinea mentre un altro partito-azienda (il “partito di Berlusconi”, comunque si sia chiamato negli ultimi vent’anni o si chiamerà nei prossimi) al capolinea non lo è ancora: ceti professionali e produttivi larghi non cessano di guardare al profilo pur invecchiato del Cavaliere, per loro tutt’altro che ex.
La resistenza del centrodestra “berlusconiano” – se sarà confermata dai risultati – sarà tema da analisti politici. Una “buona notizia” nel breve periodo per il Renzi che spera di governare fino al 2018 in virtù del patto del Nazareno. Una notizia meno buona per il Renzi ancora candidato-statista: per il rottamatore-nuovista che contava – anche, in parte – su una staffetta con lo stesso Berlusconi nel rappresentare un’Italia “trainante”, “vincente”.
Il premier che ha puntato la sua leadership sull’eliminazione dei corpi intermedi – sulla rappresentanza diretta delle imprese e dei lavoratori – deve invece registrare che questi blocchi sociali non lo hanno ancora scelto, anzi: restano freddi veros un premier che si fa ospitare da Sergio Marchionne (in veloce trasferta da Detroit) in una fabbrica del Sud, che sarà pure stata ristrutturata, ma a pochi in Italia è piaciuto come.
Qualunque sia l’esito definitivo da stamattina Renzi è più debole. E’ più debole perché l’Italia che lavora – e soprattutto quella che vorrebbe lavorare – dopo un anno è mezzo non si fidano di lui e delle sue riprese virtuali, zero-virgola-l’anno-prossimo.